La partita impossibile tra Renzi e Letta

Tra Matteo Renzi ed Enrico Letta non c’è alcuna partita in corso. Per la semplice ragione che i due presunti contendenti si trovano a giocare in due serie diverse. Il segretario del Partito Democratico si muove in serie A. Il Presidente del Consiglio nella serie inferiore. Può anche capitare che s’incontrino, come è avvenuto alla recente direzione del partito. Ma è proprio il confronto che mette in mostra la differenza di serie che li contraddistingue. Questa differenza nasce sicuramente da un fattore caratteriale. Renzi tende a correre. Letta sa solo passeggiare. Ma dipende essenzialmente dagli obiettivi totalmente diversi che i due perseguono. Renzi dichiara di voler cambiare il Paese.

Letta punta solo a far sopravvivere il Governo. Per raggiungere il suo obiettivo il segretario del Pd non esita a compiere la rivoluzione copernicana, per un partito ancora fermo al passato come il suo, del dialogo con il “condannato” Silvio Berlusconi. E gioca a tutto campo sostenendo che in un sistema democratico le regole generali non possono essere cambiate a colpi di ristrette maggioranze, ma solo coinvolgendo tutte le forze, anche quelle naturalmente antagoniste, che condividono il proposito riformista. Per conseguire il suo obiettivo, invece, Letta si chiude nella metà campo della propria risicata maggioranza e spera solo nella benevolenza della terna arbitrale composta da Napolitano e dal duo miracolato Grasso-Boldini per non essere preso a pallate dalla squadra avversaria. La metafora calcistica fotografa la realtà presente.

E spiega perché tra i due presunti contendenti non ci possa essere partita. Ma non può anticipare il prossimo futuro. Che succede ora che Renzi ha dato i “quindici giorni” a Letta intimandogli di non continuare a galleggiare con un Esecutivo pieno di buchi e di scegliere una volta per tutte tra il colpo d’ala o l’uscita di scena? L’aspetto singolare di questo interrogativo è che ad esso nessuno risponde prendendo in considerazione la possibilità che Letta possa rinforzare il proprio Governo dandogli l’obiettivo di essere all’altezza dell’obiettivo delle riforme perseguito da Renzi. Tutti escludono questa possibilità. E ad essa contrappongono o l’ipotesi della crisi e delle elezioni anticipate o quella che prevede la staffetta tra Letta ed il segretario del Pd a Palazzo Chigi.

Ma perché mai Renzi dovrebbe dichiarare il fallimento del suo obiettivo riformista accettando un’interruzione anticipata di legislatura e un voto da celebrare con la legge proporzionalistica ritagliata dalla Corte Costituzionale? E perché mai lo stesso Renzi dovrebbe arrivare alla guida del Governo senza investitura popolare e con la sola prospettiva di finire logorato da una crisi economica nient’affatto terminata e dalle trappole e dagli sgambetti di quella parte del partito che aspetta solo questa occasione per rottamare il rottamatore? Nessuno ne parla. Ma sulla base di queste considerazioni potrebbe prendere corpo l’ipotesi alternativa a cui si ricorreva nella Prima Repubblica, quando la situazione politica andava in stallo e bisognava far decantare la situazione.

Quella del Governo tecnico di transizione destinato a durare il tempo necessario per la riforma della legge elettorale. Un’ipotesi che nella Prima Repubblica era anche arricchita dalla possibilità del Governo istituzionale, guidato da uno dei presidenti delle Assemblee parlamentari. Ma che nella Seconda, data la modesta caratura degli interessati, non può prevedere questo arricchimento. Rimane il Governo tecnico. Purché Napolitano non pensi di nuovo a Monti!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26