
Almeno per le conseguenze il caso Amanda-Sollecito rischia di avere lo stesse effetto de “Le mie prigioni” di Silvio Pellico. Il libro del patriota risorgimentale, si disse all’epoca, provocò all’Impero Asburgico più danni di una battaglia perduta. Il processo della giovane americana e del suo ex fidanzato italiano rischia di provocare all’immagine del nostro Paese, negli Stati Uniti in particolare e nel mondo in generale, l’equivalente e forse più di quanto il libro di Pellico provocò all’immagine della Felix Austria della prima parte dell’Ottocento. Chi si vuole riconsolare sostiene che è tutta colpa dell’agenzia di comunicazione statunitense che la famiglia di Amanda ha incaricato, fin dall’inizio della storia, di alimentare la tesi dell’innocenza della ragazza puntando sullo stato disastroso del sistema giudiziario italiano.
Ma il problema non è che l’agenzia di comunicazione della ragazza abbia lavorato con incredibile efficacia. È che non abbia avuto alcuna difficoltà nel trovare argomenti credibili ed efficaci nel portare avanti la sua campagna innocentista fondata sulla denuncia delle storture e del pessimo funzionamento della nostra giustizia. Il risultato è che oggi, agli occhi in particolare dell’opinione pubblica americana, l’Italia e il suo sistema giudiziario appaiono segnati dalla stessa caratteristica di inadeguatezza e inciviltà che agli occhi dell’opinione pubblica italiana l’India e il suo sistema giudiziario sembrano avere per il caso dei fucilieri della Marina, Latorre e Girone.
Il paragone non è irrealistico. Perché agli occhi degli italiani risulta assurdo, ingiusto e inaccettabile che a due anni dal loro arresto i due soldati non abbiano ancora un capo d’imputazione e rischino addirittura la pena capitale come terroristi. Ma agli occhi degli americani appare altrettanto assurdo, ingiusto e inaccettabile che un processo indiziario possa andare avanti per il tempo interminabile del processo di Perugia, passi a seconda delle circostanze esterne dalle assoluzioni alle condanne e possa essere segnato, come è sembrato emergere dall’intervista rilasciata all’indomani della sentenza dal Presidente della Corte d’Appello ed è stato denunciato dagli avvocati degli imputati, da una serie di inspiegabili pregiudizi.
Insomma, così come nel caso Latorre e Girone noi italiani abbiamo gioco facile nel sostenere le ragioni dei nostri connazionali ponendo sul banco degli imputati il sistema giudiziario indiano, gli americani hanno un gioco altrettanto facile nel difendere la loro connazionale Amanda sostenendo che il sistema giudiziario italiano è ai livelli dei peggiori Paesi del Terzo Mondo. Per questa ragione il caso Knox non può essere più considerato un fatto di cronaca nera, ma diventa una questione politica di primaria importanza.
Che ripropone il tema della riforma della giustizia come condizione prioritaria per cancellare l’immagine dell’Italia declassata a Paese segnato da un sistema giudiziario inaffidabile e imprevedibile. Si tratta, in sostanza, di riconquistare quella credibilità internazionale indispensabile per la ripresa dalla crisi economica. Una credibilità che il caso Amanda ha contribuito a portare, a ragione od a torto, ai minimi storici. E che deve diventare un obiettivo prioritario per l’intera classe politica. Insieme alla riforma elettorale ed alle riforme istituzionali.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29