Colpevolisti e share, convinzioni di burro

Dopo la sconcertante, sebbene fosse ampiamente annunciata, sentenza che condanna nuovamente Amanda Knox e Raffaele Sollecito, era inevitabile che tg e talk-show si occupassero nei dettagli della controversa vicenda. E da questo punto di vista, “Quarto grado”, in onda su Rete 4 e condotto da Gianluigi Nuzzi, ha affrontato l’ennesimo processo Kercher con encomiabile equilibrio, consentendo ad alcuni autorevoli osservatori, tra cui il validissimo Alessandro Meluzzi, di spiegare che ci troviamo sostanzialmente di fronte ad una condanna basata sul nulla, in cui teoremi e congetture hanno assunto la rilevanza di prove regine.

Al contrario, Bruno Vespa ha messo in scena una puntata di “Porta a Porta” di segno completamente opposto, con una ridda di ospiti tutti rigorosamente colpevolisti. E fino a quando ci si muove nel campo delle opinioni, tutto bene. Il problema nasce quando - anche in considerazione che si sta facendo informazione su un canale pubblico - alcuni personaggi noti, come la criminologa Bruzzone e il direttore del Giornale dell’Umbria Castellini, tendono a spacciare le citate congetture come elementi scientificamente dimostrati, forviando in questo modo l’opinione pubblica. Costoro, in particolare, si sono resi protagonisti di una ricostruzione dei fatti a dir poco fantasiosa, attribuendo ai due ex-fidanzatini impronte e tracce biologiche che non risultano in alcun modo negli atti di tutti i processi fin qui celebrati.

Tutto ciò è stato plasticamente esemplificato dall’avvocato di Sollecito, Bongiorno, la quale disse nel corso del primo procedimento che i due giovani imputati “avrebbero dovuto volare come libellule” mentre si consumava il crimine, vista l’assenza di evidenze probatorie circa la loro presenza nella stanza del delitto. Dunque tracce certe, soprattutto per chi ha seguito dall’inizio l’intera, sporca faccenda, non ce ne sono mai state ai danni di Raffaele e Amanda, bensì solo illazioni e indizi molto labili. Piaccia o no questo è, a mio modesto parere, l’ennesima dimostrazione di potenza di una giustizia teorematica che prima trova il colpevole e poi gli cuce addosso un vestito su misura.

Una giustizia teorematica che, come ha sostenuto Meluzzi, una volta messa in moto procede come una valanga inarrestabile. Tuttavia, dato che il colpevolismo - soprattutto quando viene usato contro una esponente wasp della patria del capitalismo - fa sempre molto audience in questo Paese alla eterna ricerca di un criminale designato da impiccare mediaticamente, il buon Vespa non si è fatto alcuno scrupolo nel realizzare una puntata del suo popolare talk tutta sdraiata sulle tesi dell’accusa. Considerazioni del tipo “è colpevole perché non ha scritto una lettera alla famiglia della vittima, o perché ha speculato pubblicando libri e rilasciando interviste” sono state presentate ai telespettatori come elementi inconfutabili di condanna.

Mancava solo che, in questa moderna riproposizione della santa inquisizione, qualcuno tirasse in ballo la prova del coltello arroventato per dimostrare la fondatezza di un processo tenuto in piedi, tra le altre cose, da un continuo cambiamento di movente. Dalla gelosia, all’orgia sessuale degenerata, al rancore dovuto a problemi di igiene e pulizia della casa. Per questo ci aspettavamo, anche considerando che manca ancora un grado di giudizio, che nel salotto buono di Rai 1, insieme alla inevitabile muta di colpevolisti in caccia di popolarità a buon mercato, facesse sentire la sua forte presenza il più autorevole convitato di pietra della nostra giustizia sempre più da riformare: il dubbio. Dubbio che non passa nemmeno per l’anticamera del cervello di alcuni nostri maestri dell’informazione, nazionale e locale, sostenuti nella fattispecie da un repertorio di convinzioni assolute di pastafrolla.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22