Commissario Calabresi La fiction della Rai

Non si tratta probabilmente di un’opera d’arte la fiction prodotta dalla Albatross Entertainment ispirata al commissario Luigi Calabresi e derivata da “Gli Anni Spezzati. Il commissario” (edizioni Ares) di Luciano Garibaldi, uno dei nostri più lucidi e generosi narratori di “cose storiche”, attento agli snodi politici non meno che a quelli umani giacché una vicenda come quella di Calabresi possiede un’estrema varietà dell’uno e dell’altro aspetto sì da rappresentare una sorta di metafora di un decennio e forse più di storia italica. Dicevamo della fiction, con Emilio Solfrizzi nella parte del commissario Calabresi, che non attinge all’empireo del capolavoro.

Ma non è questo il punto, anche perché raramente un racconto televisivo pretende a ciò. Nel nostro caso, aggiungiamo che si notano qua e là delle vistose mancanze, non di argomenti, ma di mezzi e risorse che di fatto frenano la corsa del film-tv. Detto questo, gli va ascritto, grazie all’impostazione di Luciano Garibaldi, una limpida onestà di fondo che è rara nei nostri tempi e uno sforzo, che in altre fiction analoghe latitava, vedi quella di Marco Tullio Giordana, di restituire il clima di odio infame, di isolamento e di solitudine intorno a un servitore dello Stato finito ammazzato ad opera di terroristi, dopo una violenta campagna di stampa di Lotta Continua, dopo le pièces teatrali di Fo, e dopo, soprattutto, l’orrendo libro della Cederna cui seguì, come racconta l’insostituibile “L’eskimo in redazione “ di Michele Brambilla, uno sterminato elenco, almeno ottocento, di firmaioli intellettuali, registi, giornalisti, attori, scrittori, storici e chi più ne ha più ne metta, contro colui che veniva ormai identificato come l’assassino, nei locali della Questura milanese, dell’anarchico Giuseppe Pinelli.

Certo, a distanza di trentacinque anni, a molti giovani e non solo una storia come questa rischia di apparire archeologia da dinosauri e ciò anche a causa di una caratteristica affatto italiana: che la storia del nostro dopoguerra è stata raccontata dalla sinistra, anzi, è la storia della sinistra, avverandosi in tal modo il disegno gramsciano dell’occupazione delle casematte borghesi da parte dell’intellighenzia, che ha fatto della nostra vicenda nazionale una loro palestra di esercitazioni di stampo giacobino onde poter aggiustare, adattare, interpretare e, se del caso, manipolare con interventi ortopedici il corso delle cose. È stato il cinema, soprattutto nel caso di Calabresi, lo strumento che ha preparato e gestito quel clima infame su cui cavalcarono gli sciagurati che brindarono pubblicamente sui loro fogli il giorno dell’assassinio di Calabresi.

Lasciava una giovane moglie, peraltro coraggiosissima con quel piccolo Mario che diverrà un famoso giornalista e un coraggioso scrittore di quella tragica vicenda. Fu un film, soprattutto, che si installò nell’immaginario collettivo col volto di un Volonté al massimo delle sue risorse interpretative e nel ruolo di un capo della mobile poi promosso al settore politico. Il film, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970) di Elio Petri, dimostrava programmaticamente che l’impunità dei poliziotti era la premessa della loro voglia di repressione delle istanze giovanili e che la stessa, patente colpevolezza di quel commissario che si autoaccusava dell’omicidio della sua morbosa amante, veniva assolta dai superiori proprio in virtù della intangibilità della figura di chi difendeva legge e ordine in un Paese all’indomani della strage di Piazza Fontana (1969) con tutto ciò che ne seguì.

Il cinema come strumento di affabulazione e di manipolazione ideologica, un film che, come nei libri e nei manifesti, nelle scritte sui muri, contro Calabresi giustificava e alimentava le più sanguinose accuse nei suoi confronti: torturatore, assassino, fascista in un pressoché quotidiano rito mediatico di degradazione che sfociò nell’orrendo crimine di un innocente. Come tale fu infatti giudicato, Calabresi. Ma, ex post, diversi anni dopo la sua morte, da un’inchiesta della Procura di Milano.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22