
La vera forza di Matteo Renzi è la dabbenaggine del Governo. Più l’Esecutivo Letta-Alfano compie passi sbagliati, dal pasticcio delle tasse sulla casa all’incredibile vicenda dei tagli di 150 euro al mese agli stipendi degli insegnanti, più il segretario del Partito Democratico si rinforza nel suo ruolo di futuro salvatore della Patria messa in pericolo dagli incapaci maneggioni della politica e della burocrazia. Renzi sfrutta abilmente le carenze di un Governo debole per struttura e per pochezza di molti degli uomini che lo compongono, per continuare a caratterizzarsi come il campione della rottamazione di una politica divenuta definitivamente indigesta alla stragrande maggioranza degli italiani.
Qualcuno considera ancora Beppe Grillo il massimo rappresentante dell’antipolitica nel nostro Paese. Ma si tratta di un errore colossale. Perché il personaggio che più di ogni altro si pone come l’alternativa salvifica rispetto alla deprecata casta è proprio il leader del partito che, per paradosso della storia, più di ogni altro è stato il puntello di questi privilegiati e del loro vecchio modo di amministrare e gestire la società italiana. Renzi non perde occasione per rinforzare agli occhi dell’opinione pubblica questa sua paradossale caratteristica. Non c’è una intervista o una dichiarazione pubblica in cui non ripeta il mantra dell’“io non sono come loro”. Cioè come Letta e Alfano e come tutto il ceto politico tradizionale.
E per dare maggior peso ed efficacia a questa sua presa di distanza ha deciso di aggiungere alla differenziazione di stile e di idee anche la differenziazione spaziale. Renzi, infatti, ha deciso ostentatamente di non trasferirsi a Roma ma di rimanere fermo a Firenze. Molti, soprattutto all’interno del Pd, ironizzano sulla cosiddetta fiorentizzazione del partito. E rilevano che di questo passo il Pd rischia di snaturarsi in maniera irreversibile.
Ma in realtà lo spostamento a Firenze del centro di gravità del Pd è per Matteo Renzi solo un modo per marcare, sempre agli occhi dell’opinione pubblica, la propria distanza da quello che nelle sue valutazioni è il politicume romano bollato dai venti dell’antipolitica come la fonte di tutti i mali del Paese. In questa luce si comprende la ragione per cui Renzi abbia avviato consultazioni fiorentine parallele a quelle di Letta. E si capisce la sua opposizione netta ad ogni ipotesi di rimpasto del Governo da realizzare con l’immissione nell’Esecutivo di qualche suo rappresentante.
Ma in questa luce, soprattutto, si incomincia a sospettare che il vero interesse del segretario antipolitico del Pd non sia affatto di andare al voto il più presto possibile, ma quello esattamente opposto. Cioè di lasciare che il Governo dei romani maneggioni e incapaci vada avanti per tutto il 2014. Allo scopo di rinforzare al massimo il proprio ruolo di rottamatore non più interno del Pd ma dell’intero Paese. E aspettare da Firenze di essere finalmente chiamato a fare l’Uomo della Provvidenza che questa volta giunge a Roma non più in vagone letto ma con il Frecciarossa!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:27