Renzi tra l'innovazione e l'ora del dilettante

Bisogna salutare con apprezzamento i botti di fine d'anno di Matteo Renzi. La sua accelerazione suol terreno della riforma elettorale e del patto di maggioranza è sicuramente una novità positiva. Così come è apprezzabile e positiva la sua intenzione di aprire un confronto con tutte le forze politiche per porre fine alle liturgie paralizzanti del passato e trovare comunque una intesa sulla sostituzione del Porcellum e sull'agenda del governo capace di dare una scossa al paese.

Ma dare a Renzi quello che è di Renzi non significa solo esaltarne l'attivismo ma comporta anche sottolineare che nella sua azione non ci sono solo luci ma anche alcune ombre. E che la principale di queste ombre è rappresentata dalla sensazione che l'altra faccia della sua innegabile spinta propulsiva sia rappresentata da un inquietante pressapochismo ispirato alla demagogia mediatica più semplicistica e becera. La cartina di tornasole di questo aspetto preoccupante dell'azione del segretario del Pd non si manifesta solo nella scelta di presentare tre distinte proposte di riforma elettorale assolutamente diverse l'una dall'altra senza indicare quella preferita.

È probabile che in questo caso il pressapochismo sia solo furbizia. E serva esclusivamente a stanare i tanti che lo aspettano al varco per vanificare ogni suo tentativo di rinnovamento e di cambiamento soprattutto all'interno del Pd. La vera cartina di tornasole del pressapochismo ispirato alla demagogia mediatica è rappresentata dalla sua proposta di trasformare il Senato in una camera delle Autonomie. E di farlo non per eliminare il bicameralismo perfetto, nato con la Costituzione sulla base di creare all'indomani dell'esperienza totalitaria un meccanismo democratico in grado di scongiurare ogni forma di nuovo autoritarismo.

Ma solo per risparmiare, come il segretario del Pd propone polemicamente al Movimento Cinque Stelle impegnato sul terreno populista della lotta ai costi della politica, un miliardo di euro. Nessuno contesta la necessità di operare tagli consistenti agli sprechi causati da un sistema istituzionale elefantiaco ed insostenibile. Ma non si può cancellare una scelta costituzionale come quella del bicameralismo perfetto con la sola motivazione che bisogna risparmiare un miliardo. Non solo perché in realtà, anche trasformando Palazzo Madama nella Camere delle autonomie dove i rappresentati delle regioni non vengono retribuiti, i costi rimarrebbero comunque elevati.

Ma soprattutto perché cancellare il bicamerismo perfetto senza proporre una nuova struttura istituzionale capace di assicurare comunque il rispetto delle regole democratiche e di impedire ogni deriva autoritaria, vuol dire che la spinta propulsiva ed innovatrice è l'”ora del dilettante”. Perché se si pensa che i rischi di deriva autoritaria sono ormai superati tanto vale abolire del tutto il bicameralismo. Senza mettere in piedi una Camere delle autonomie priva di qualsiasi funzione concreta e destinata a diventare il simbolo del regionalismo pasticcione e sbagliato, così come il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro è il simbolo di un corporativismo inconcludente e superato dalla storia.

Se invece il timore dei Padri Costituenti di possibili svolte autoritarie non è superato e si vuole comunque abolire il Senato, si deve necessariamente definire una nuova struttura istituzionale fondata su una Camera sola e caratterizzata da un nuovo e diverso rapporto tra il potere legislativo e quello esecutivo. Può essere che nel corso dei prossimi incontri bilaterali Renzi smentisca il timore di aver dato vita all'”ora del dilettante”. Ma al momento la sensazione che si stia correndo questo rischio è molto forte.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 16:44