
Se il Pd avesse tenuto, oggi al Quirinale ci sarebbe Franco Marini eletto con i voti anche dell’ex Pdl. E la maggioranza delle larghe intese ancora in piedi avrebbe garantito la possibilità di varare rapidamente le riforme, anche quelle costituzionali, indispensabili per la ripresa del Paese. Si può fare un ragionamento alternativo. E rilevare che se il Pd avesse tenuto oggi al Quirinale ci sarebbe Romano Prodi , che non avrebbe avuto i voti del Pdl ma di parte del M5S.
E che, proprio per la sua dichiarata etichetta di uomo di parte, avrebbe potuto realizzare il sogni di Pierluigi Bersani di frantumare i grillini e creare una maggioranza di sinistra capace, se non di portare avanti le riforme istituzionali, di dare un’impostazione politica precisa alla legislatura.
Ma il Pd non ha tenuto. Né nel caso di Marini, né nel caso di Prodi. E la rielezione di Napolitano è stata la conseguenza diretta del fallimento dell’azione politica di un Pd incapace di accettare la non vittoria elettorale e di compiere una scelta precisa tra la strada della larghe intese e quella alternativa del fronte di sinistra.
Napolitano, in sostanza, votato dal Pdl in base alla logica del “male minore”, ha compiuto un atto di generosità nei confronti del proprio partito d’origine nell’accettare il rinnovo del mandato. Ma, nel farlo, ha fatalmente perso il ruolo di garante di tutti gli italiani che aveva assunto nel primo settennato ed è diventato il garante del solo Pd. O meglio, di quella parte del Pd che aveva la responsabilità del fallimento del partito e che aveva bisogno di un sostegno a cui aggrapparsi per evitare di essere travolta dalla protesta montante nel Paese e dalle spinte innovative in atto nella sinistra.
Il fatto che Napolitano goda oggi del sostegno non solo del gruppo dirigente, nel frattempo sbaragliato dall’innovatore Renzi, ma anche della gran parte della nomenklatura burocratica e mediatica del Paese non cambia la sostanza della vicenda. Per la semplice ragione che questa nomenklatura burocratica, politica e giornalistica è il frutto della stessa cultura del vecchio gruppo dirigente fallito del Pd. E, in attesa di salire sul carro del vincitore, Renzi, per conformismo cortigiano o per condizionarlo e perpetuare all’infinito i propri privilegi, non trova altra collocazione oltre quella della difesa ad oltranza di un Napolitano che si sacrifica per spirito di servizio al partito a cui è rimasto legato per tutta la sua vita.
Questa considerazione, oltre a portare come conseguenza la inevitabile contrapposizione personalizzata tra il vecchio Napolitano ed il giovane Renzi, dovrebbe spingere ad una riflessione le forze politiche che non provengono dalla tradizione della sinistra post-comunista e che al momento sono schierate dalla parte del Quirinale e delle piccole intese governative.
La riflessione è che più rimangono nella posizione attuale, più il loro destino politico viene compromesso. Perché sostenere chi ha fallito e chi è costretto a coprirli per seguire il richiamo della foresta li condanna fatalmente alla stessa sorte dei loro alleati e del loro temporaneo nume tutelare. È probabile che non si riesca a votare nel 2014. Ma è certo che quando si voterà nel 2015 non ci sarà più spazio per gli emuli del partito dei contadini della Polonia di Gomulka!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28