Il governino Letta e l’anno che verrà

Dunque, nonostante l’ostentato ottimismo del governo delle piccole intese, anche il 2013 si chiude con una situazione economica e finanziaria in grave affanno. Luci in fondo al tunnel continuano a non vedersi, malgrado i molti annunci espressi al riguardo dagli ultimi inquilini di Palazzo Chigi. La rappresentazione numerica dell’attuale situazione è a dir poco catastrofica. Il Paese produce sempre meno ricchezza, si perdono posti di lavoro a migliaia ogni giorno e si amplia l’emorragia delle imprese che non ce la fanno a restare sul mercato.

Di converso, prosegue inarrestabile l’aumento della pressione tributaria allargata, lanciata alla rincorsa di una spesa pubblica che nessuno sembra in grado di riportare entro limiti sostenibili. In soldoni, come ho più volte sottolineato su queste pagine, l’eccessiva quota di risorse controllata dalla mano pubblica – la quale, complice anche il crollo del Pil, ha oramai superato il 55% del reddito nazionale – risulta incompatibile con qualunque tentativo di far ripartire su basi strutturali, ossia dal lato dell’offerta, la nostra disastrata economia. Men che meno ciò potrà mai avvenire se, anziché riformare i grandi centri di spesa dello Stato, ci si continuerà a baloccare sulle questioni di lana caprina che fanno tanto consenso mediatico: costi della politica, rimborsi elettorali, tagli fantomatici delle province e tante altre analoghe amenità.

Non che questi ultimi aspetti, legati a sperperi e privilegi intollerabili, siano moralmente accettabili in un Paese avanzato. Tuttavia, essi non spostano di molto il nodo fondamentale di una democrazia acquisitiva che si basa sulla prassi fallimentare di redistribuire risorse in cambio di facile consenso. Ed è per l’appunto su questo piano che ci si contende il citato consenso politico. Governo e opposizione si guardano bene dal proporre una linea che conceda meno regalie e sussidi in cambio di un allargamento dello spazio riservato all’iniziativa privata. Molto meglio illudere il popolo con l’utopistica alchimia di rendere compatibile un sistema che aumenti la protezione sociale e, nel contempo, faciliti gli investimenti produttivi, i consumi e l'occupazione.

Almeno fino a quando sarà possibile finanziare il nostro crescente debito pubblico a tassi sostenibili, la politica dei cosiddetti pasti gratis verrà rinnovata senza ritegno dai vecchi e dai nuovi sacerdoti del bene comune. Poi, nel momento in cui i mercati finanziari riprenderanno a perdere fiducia nei riguardi del Paese di Pulcinella, allora forse si potrà iniziare a parlare del vero rigore – quello dal lato dei tagli alla spesa corrente per intenderci – e dell’abbattimento di una pressione fiscale a dir poco feroce. Per ora accontentiamoci di festeggiare il Capodanno con i mirabolanti annunci del nulla del governino Letta.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:49