La curva di Laffer e le mini-patrimoniali

Secondo gli ultimi dati ufficiali, il gettito Iva nei primi 10 mesi di quest’anno è letteralmente crollato, facendo perdere allo Stato tassatore ben 3,4 miliardi di euro, nonostante l’ulteriore inasprimento dell’aliquota introdotto – o meglio, non bloccato - dal Governo Letta. Le entrate erariali complessive, malgrado l’effetto di trascinamento della montagna di nuovi balzelli introdotti in questi ultimi anni, hanno anch’esse rallentato, scendendo dello 0,3%.

E se tanto mi dà tanto, andando avanti di questo passo la spirale perversa di una fiscalità impazzita che rincorre vanamente le entrate tributarie si farà ancor più drammatica. Oramai ci troviamo in una classica condizione descritta dalla famosa “curva di Laffer”, nella quale una pressione fiscale feroce rende sempre meno conveniente ogni forma di attività economica. Ciò determina un calo dei consumi e degli investimenti tale da mandare a carte quarantotto un sistema pubblico che non sa più cosa tassare per sostenere una spesa pubblica abnorme. Sotto questo profilo, l’introduzione di tutta una serie di mini patrimoniali - basti pensare ai continui salassi sul risparmio - si iscrive proprio nell’estremo tentativo di raschiare il fondo del barile.

Ma il problema non si risolve aumentando le già insopportabili aliquote o inventandosi altre forme di prelievo. Il male profondo di questo disgraziatissimo Paese si deve affrontare attraverso una decisa riduzione di una pressione tributaria allargata che ne sta facendo letteralmente fondere il motore economico. Tuttavia, dato che la situazione finanziaria del settore pubblico è catastrofica, è impensabile poter abbassare le tasse in deficit, pena un’ulteriore e probabilmente definitiva fuga degli investitori dai titoli del nostro debito sovrano.

Il taglio delle tasse deve necessariamente passare per un contestuale abbattimento della spesa pubblica. Ciò significa, al di là delle chiacchiere che si sentono nei vari teatrini della politica, che lo Stato riduce drasticamente molte delle sue prestazioni coercitivamente offerte alla cittadinanza. In sostanza si tratterebbe di far compiere allo Stato quei due famosi passi indietro promessi una ventina di anni orsono da un perseguitato politico che, a mio avviso, lo sarebbe stato molto meno se avesse realizzato un decimo di quanto promesso.

Ma osservando il desolante panorama democratico del momento, mi sembra di poter dire che all’orizzonte non si intravede uno straccio di leader che abbia la forza e la convinzione per chiedere un consenso deciso nella citata direzione. Basta osservare quel che sta emergendo nel confronto tra i tre moschettieri democratici che si contendono la segreteria del loro partito per rendersene conto appieno. Al di là delle sfumature, Renzi, Cuperlo e Civati non propongono altro che tassare e spendere, secondo un’acquisita tradizione della sinistra italiana.

E l’unico taglio che questi volpini irresponsabili propongono è quello dei cosiddetti costi della politica, inducendo i più sprovveduti a pensare che in tal modo aumenterà la quota di risorse che la politica redistribuisce. Solo che, come dimostra la curva di Laffer, tra breve saranno rimaste solo le briciole.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:49