
L’idea di Giorgio Napolitano, ovviamente condivisa da Enrico Letta, è di mantenere in piedi l’attuale Governo fino all’inizio del 2015 contando su un’elezione non plebiscitaria di Matteo Renzi alla segreteria del Partito Democratico. Il Presidente della Repubblica, che conosce alla perfezione le dinamiche ed i meccanismi interni della componente post-comunista del Pd, sa bene che se Renzi venisse eletto con una maggioranza ristretta non avrebbe la forza di mandare a casa il governo per giocare la carta delle elezioni anticipate. E dovrebbe impegnare tutto il suo tempo (altro che continuare a fare il sindaco di Firenze!) a tenere a bada una quasi metà del partito decisa a metterlo in difficoltà giornaliera per logorarlo nel minor tempo possibile. Può sembrare bizzarro che questa idea venga attribuita al Presidente della Repubblica e non al Presidente del Consiglio.
Normalmente dovrebbe essere Letta a preoccuparsi di conservare il proprio Governo e non Napolitano a fissare le strategie più opportune per lasciare al suo posto un Esecutivo che nel frattempo ha cambiato radicalmente la propria natura politica. Ma la bizzarria è diventata una regola. Al punto che nessuno ci fa più caso se le vicende della politica nazionale vengono decise sempre e comunque dal Quirinale e nel Quirinale. Come se la Repubblica fosse già presidenziale e Napolitano fosse stato eletto direttamente dal popolo come Obama o Hollande e non, per due volte di seguito, da parlamenti di nominati grazie ad una legge elettorale anticostituzionale! Bizzarri o meno, però, questi sono i fatti. Ed anche se la faccenda può inquietare o scandalizzare, non si può non prendere atto che la partita politica in corso è tutta interna al Pd tra Giorgio Napolitano da un lato e Matteo Renzi dall’altro.
Il primo vuole blindare il Governo Letta congelandolo a dispetto della fine delle larghe intese, della richiesta di rimpasto delle sue componenti e della sua oggettiva inadeguatezza (il caso Imu insegna). E spera che la componente interna del Pd, che fa capo a Cuperlo ma che è composta dai Bersani e dai D’Alema, riesca a rendere dimezzata la prevedibile elezione alla segreteria di Renzi. Il secondo capisce che il gioco di Napolitano e dei dalemiani (vecchi nemici che in nome del realismo post-comunista fanno fronte comune contro l’avversario del momento) è di azzopparlo per meglio cucinarlo a fuoco lento nel corso di un anno di tempo. Ma, oltre ad attendere l’esito delle primarie e vedere le dimensioni del suo successo, non sembra avere ancora deciso come reagire all’operazione messa in atto dal togliattiano di osservanza migliorista del Quirinale.
Incassare la vittoria presumibilmente dimezzata e subire il tentativo di logoramento impegnandosi a sostenere Letta in attesa di rinforzarsi e prendersi la rivincita in tempi migliori? Oppure prendere in contropiede Napolitano mandando a casa Letta e puntando decisamente ad elezioni anticipate che in ogni caso segnerebbero la fine del neo-presidenzialismo del Colle e la rottamazione definitiva del vecchio gruppo dirigente del Pd? L’incertezza di Renzi è comprensibile. Ma è anche un segnale di debolezza del sindaco di Firenze. Che se non sceglie di forzare la mano, con o senza investitura plebiscitaria, rischia di rimanere paralizzato nella tela del ragno filata da Napolitano e di finire drammaticamente imbozzolato a fare il segretario dimezzato e di transizione!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52