
La mediazione delle liti è stata riproposta dal governo come provvedimento utile alla prevenzione e allo smaltimento del contenzioso civile. Il mancato esperimento viene rilevato dal giudice e non consente la procedibilità del giudizio. Gli organismi di mediazione costituiti nel previgente periodo di applicazione dell’istituto sono in rinnovato stato di fibrillazione, attendendo che la disposizione normativa consenta i guadagni in precedenza attesi e non pervenuti.
Il ceto forense non appare lieto della riproposizione dello strumento compositivo che riduce le scelte di strategia giudiziaria a disposizione dei legali e sottrae influenza alla linea difensiva. Nell’ambito della mediazione, infatti, la materia contenziosa è destinata, almeno in teoria, ad essere interamente esaminata dal mediatore nell’interesse delle parti, che apparentemente perdono potere in suo favore, perché la condotta ostativa potrebbe essere valutata dal giudice, in caso di insuccesso della mediazione, a favore della parte più diligente e disponibile. La misura assunta dal legislatore dovrebbe, in tal caso, assolvere la connaturata funzione deflattiva dell’enorme contenzioso civile, sanzionato dalla legge Pinto, che provoca ritardi, disfunzioni, ingiustizie.
Come spesso accade, tuttavia, in mancanza di aggiustamenti in corso d’opera, la pratica è destinata a smentire la teoria, sostanzialmente per due motivi. Il mediatore, per svolgere efficacemente e onorevolmente la propria funzione, deve essere un professionista di grande esperienza maturata sul campo e di grandi capacità giuridiche ed economiche, quando la lite riguardi materia di impresa, oltre che di credibilità personale.
Diversamente non potrà offrire l’auspicato contributo. La specificità della funzione, che non è stata considerata dal legislatore, che, in tal caso, ne avrebbe tenuto conto, si esprime, infatti, nella capacità di valutare la fattispecie controversa (accertamento e qualificazione giuridica dei fatti) sotto il profilo dei valori in discussione e di sottoporre alle parti la previsione di un giudizio orientato a favore dell’una o dell’altra e quindi l’utilità della mediazione.
Alla capacità professionale deve essere pertanto connessa una adeguata serenità di giudizio, tale da influenzare, nella prospettiva della lite, la valutazione del magistrato.
Il mediatore deve o dovrebbe coniugare in sé la preparazione del legale eccellente e del giudice sereno e scrupoloso. Con tutta franchezza, l’esperimento precedente della mediazione non consente di coltivare attese di grandi competenze dedicate. L’altro elemento, che riduce in prospettiva l’impatto giudiziario della mediazione fallita, risiede nella mancata previsione di effetti processuali predefiniti.
La parte diligente, che sia ricorsa all’esperimento conciliativo con lealtà e abbia rivelato o, quanto meno, dischiuso la linea difensiva, gradirebbe che alla riduzione delle sue chance corrispondesse un effetto processuale certo, non affidato alla successiva valutazione del magistrato.
La pretesa esercitata in giudizio (la domanda), esaminata in sede precontenziosa e contraddetta o accolta, almeno in parte, sul piano dell’esperimento conciliativo, dovrebbe essere contenuta in giudizio nei limiti delle circostanze su cui è mancata l’intesa e soltanto su tali circostanze dovrebbe formarsi la valutazione del giudice, garantendo in tal modo gli effetti virtuosi e deflattivi della mediazione.
Il giudizio, ridotto per effetto della mediazione, avrebbe durata minore, potendo essere risolto anche in sede di discussione in unica udienza, in particolare se i fatti non siano stati contraddetti in sede conciliativa e quindi la causa riguardi soltanto aspetti di diritto. La politica ha mancato queste riflessioni.
I mezzi di comunicazione si sono avventati sull’inerzia degli avvocati, come se le disfunzioni della giustizia costituissero demerito esclusivo del ceto forense. Indimenticabile il riferimento denigratorio di Bruno Vespa a Porta a Porta, un programma molto seguito che influenza l’opinione pubblica, in danno degli avvocati più leali e più scrupolosi.
La Comunità de l’Opinione scevera le responsabilità e si esprime a favore della utilità delle idee, non delle categorie professionali e, men che meno, delle persone, e propone che la mediazione sia emendata, divenga facoltativa a ragione della speditezza del giudizio e produca effetti processuali non affidati alla discrezionalità del giudice, ma ai risultati dell’attività svolta tra le parti con l’ausilio del mediatore in sede conciliativa. La mediazione non sarebbe considerata un orpello dovuto alla incapacità di analisi della politica, ma un utile strumento di composizione delle liti.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:42