
Ha ragione Enrico Letta quando sostiene che non esiste una alternativa al governo da lui presieduto. La conferma viene dalla crisi siriana. È probabile che dentro il Pd ci sia ancora qualcuno disposto a pensare che la liquidazione delle aborrite larghe intese potrebbe favorire la formazione di un governo formato dallo stesso Pd, da Sel e da qualche pezzo più o meno grande del Movimento Cinque Stelle. Ma esiste un solo esponente politico dello stesso partito capace di immaginare come un governo segnato dalla presenza dei vendoliani e dei grillini dissidenti potrebbe mai guidare l'Italia nel corso di una crisi in cui al paese verrebbe chiesto dagli alleati occidentali un impegno diretto o indiretto (con navi ed aerei o solo con l'uso delle basi Nato collocate nella penisola) contro il dittatore di Damasco?
Come si comporterebbero i ferventi sostenitori della interpretazione rigida dell'art. 11 della Costituzione ? E gli antimilitaristi insorti contro il rispetto delle intese sugli F35? Ed i pacifisti in mobilitazione perenne contro le basi Usa, sia quelle militari propriamente dette, sia quelle dedicate solo al controllo radar del Mediterraneo?
La crisi siriana, in sostanza, impedisce la crisi di governo. Perché rende assolutamente evidente, anche ai più ottusi ed ai più illusi, che se il paese non vuole passare dal declino allo sfascio ed uscire definitivamente dal contesto internazionale in cui continua ad essere inserito, deve necessariamente essere governato dall'unico governo possibile usciti dalle ultime elezioni. Quello delle larghe intese.
Ma proprio questa presa d'atto della ineluttabilità dell'attuale coalizione ha una conseguenza che dovrebbe spingere gli esponenti del Pdl, falchi o colombe che siano, a contrastare la pretesa di Epifani e compagni di considerare l'esecutivo un governo monocolore Pd. Ed a marcare la propria presenza non solo sull'abolizione dell'Imu o sulla agibilità politica di Silvio Berlusconi (la crisi siriana rafforza il governo ma, proprio perché il governo non è un monocolore Pd ma una coalizione, apre la strada ad una soluzione per il Cavaliere) ma anche su altre questioni che dovrebbero essere al centro della politica del centro destra.
La prima, posta proprio dalla crisi siriana, è quella dell'interesse nazionale. Qual'è, infatti, l'interesse nazionale da sostenere nel caso di un aggravamento del conflitto in corso in Siria e dell'eventuale intervento punitivo contro Assad di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia? Sicuramente è quello della conservazione del ruolo italiano nel tradizionale contesto delle alleanze occidentali. Altrettanto sicuramente è quello di rispettare gli impegni assunti sull'uso delle basi ed altro per non impedire che il paese venga escluso dal grande gioco in atto. Ma bastano queste due esigenze ad esaurire l'interesse nazionale di un paese che rappresenta l'antemurale europeo ed occidentale rispetto alla sponda Sud del Mediterraneo?
L'esperienza fatta con il conflitto libico, in cui l'Italia è stata trascinata a dispetto del proprio interesse ed ha cui ha contribuito molto più di quanto riconosciuto, sia d'insegnamento. Nelle larghe intese obbligatorie il Pdl inserisca anche la questione dell'interesse nazionale. Che con la copertura dell'Onu, tanto cara agli umanitari formalisti, non c'entra per nulla!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:48