Dopo vent'anni, fateci la grazia

La tentazione è comprensibile: reagire ad una sentenza così pesante mostrando i muscoli, evocando la piazza, cercando lo scontro. È comprensibile perché Berlusconi non è mai stato, né potrà mai essere, uomo e politico capace di gestire situazioni di questo tipo. È abituato alle accelerazioni, al rischio, alla battaglia. E siccome questa potrebbe e dovrebbe essere l’ultima, c’è da credere che la affronterà con più coraggio e più tenacia del solito. È, però, una battaglia sbagliata. Nei tempi e nei modi. Berlusconi, con alterne fortune, è in campo da 20 anni. Con lui il centrodestra ha governato, ha fatto opposizione, si è scomposto e ricomposto. Non è mai riuscito, ed è una colpa gravissima, a separare i destini personali del Cavaliere da quelli della coalizione prima e del paese poi. Chi gli è stato vicino lo ha convinto, sbagliando di grosso, che solo un manipolo di fedelissimi avrebbe potuto proteggerlo, facendo quadrato attorno al suo essere, nel bene e nel male, Silvio Berlusconi.

 I fatti hanno sonoramente smentito questa visione e in questi anni si sono perse tante, troppe occasioni per riformare le istituzioni del nostro paese, modernizzare l’assetto di partiti e coalizioni, mettere mano, perché no?, al difficile tema della giustizia. E si poteva fare cercando anche e soprattutto la condivisione delle toghe. Perché non è vero che sono gente che “ha fatto il compitino”. Sono, nella stragrande maggioranza, persone perbene che servono lo Stato con alti valori morali e grande abnegazione. Come in ogni contesto sociale ci sono quelli che vanno oltre, che interpretano male il proprio ruolo e che finiscono per farsi strumentalizzare. Compito di una classe dirigente seria sarebbe dialogare con la grande maggioranza silenziosa che avrebbe potuto condividere e favorire quelle riforme necessarie innanzitutto ai cittadini e al paese. Ma si è scelta la strategia suicida della “sineddoche”, che funzionerà come figura retorica ma non garantisce la tanto decantata “agibilità politica”: si è attaccato frontalmente il sistema della giustizia per attaccarne una parte, sperando che la gente comprendesse come i problemi di Berlusconi potessero diventare i problemi di tutti. Abbiamo perso questa partita culturale per k.o. tecnico: nessun imprenditore, nessun lavoratore, nessun professionista, nessun cittadino comune pensa oggi che la riforma della giustizia che il centrodestra proporrà sarà immaginata nell’interesse di tutti e, quindi, anche di Berlusconi.

Non pensa nemmeno un’ipotesi di minima: e cioè che sia fatta per Berlusconi ma che vada a beneficio della collettività. Tutti sappiamo che il centrodestra ha scelto di arroccarsi e di giocare questa partita in difesa. Il fortino si chiama Silvio Berlusconi la sua grande forza è stata trasformata in una mortale debolezza: attaccato lui, finiscono al tappeto tutti. È tempo che, metafore ornitologiche su falchi e colombe a parte, il centrodestra scelga come riprendere un cammino di elaborazione culturale e politica che si è , da troppo tempo, interrotto. L’ultima idea originale uscita da quello che dovrebbe essere il blocco liberal-conservatore italiano è una generica richiesta di diminuzione della pressione fiscale che risulta poco credibile perché smentita dai fatti del centrodestra di governo.

Scendere in piazza ed evocare le urne risponde al desiderio di chi oggi vuole apparire più realista del re, non rendendosi conto di contribuire sensibilmente al continuo isolamento ed indebolimento di Berlusconi e del centrodestra. Ai liberi e forti evocati da Don Sturzo spetta il compito di alzare la testa e non guardarsi i piedi: solo così anche l’eredità bipolare, maggioritaria, sinceramente anti-statalista di Berlusconi e dei suoi 20 anni di politica potrà essere preservata. Altrimenti avremo fornito ottimi argomenti a chi sostiene che nel nostro paese un centrodestra non esiste e che questo, al massimo, ha saputo essere un efficiente comitato elettorale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:50