Contro il cancro dell'antipolitica

Naturalmente c'è da fare molto, moltissimo. Alle parole che da decenni avvolgono nelle loro nullificate promesse le mirabolanti attese riformatrici dovrebbero seguire i fatti. E, per dirla con noi della "Comunità", vedi il Facchinetti dei giorni scorsi, sono davvero un mucchio i fatti che attendono. Non facciamone l'elenco, che pure è roboante nella sua implicita impotenza. Ma c'è qualcosa che possiamo fin da subito notare e far notare a quanti si occupano della crisi dei partiti che è a tutti gli effetti la crisi della politica. Se prendiamo il dibattito o comesichiama nel Pdl, il tornare o meno a Forza Italia, il dato che colpisce è la semplificazione del problema ridotto al nome, come se ritornando all'antico bastasse e, peggio ancora, servisse intraprendere una svolta autentica. La contraddizione è tanto più stridente ove si pensi all'ipotesi, avanzata da taluni, che al vertice della nuova Forza Italia bisognerebbe mettere imprenditori volonterosi e preparati replicando in tal modo lo schema del 1994 "Publitalia che supporta Forza Italia".

Partendo, magari, dal presupposto di allora, ovvero l'impostazione sostanzialmente antipolitica. Perché il Cav fu il primo antipolitico d'Italia. Ma venti anni fa. A trovarli, oggi, imprenditori di tal genere in un momento di coma profondo di un'imprenditoria che un giorno sì e l'altro pure chiede provvidenze al governo e nessuno che dica loro: fate come i vostri colleghi dell'Emilia-Romagna dopo il terremoto, che senza aluna provvidenza governativa hanno ricostruito e riassunto come prima più di prima. A parte il fatto che una cupola di imprenditori ai vertici di un partito, ancorché leggero, non risolve il problema vero e cioè: che partito si vuole? E per cosa? E in quale forma? E con quale visione del paese? E, infine, con quale proposta di riforma delle istituzioni, della forma Stato, del sistema elettorale? Forse sarebbe bene ascoltare gli elettori del Pdl, i suoi simpatizzanti, i suoi attivisti, i suoi amministratori, insomma promuovere una sorta di Stati generali liberali e da lì muovere con un programma politico chiaro e forte. Poi il nome verrà, vecchio o nuovo che sia.

Ma, si dice, ciò che preme è l'economia, la pressione fiscale, i costi della Casta, il prezzo della politica. Un ritornello non lontano dalla verità ci mancherebbe altro. Ma pur sempre un refrain che non porta da nessuna parte e che non sconfigge, di per sé, il cancro del paese, la sua metastasi, cioè l'antipolitica. La quale, tuttavia, non è più sulla cresta dell'onda. Non avvince e non seduce. Il paese ha fame di cose concrete, ha bisogno di fatti, di scelte, di azioni.Ha assoluto bisogno, cioè, di politica.Prendiamo il caso del M5S. Nel gorgo delle espulsioni grillesche a catena che stanno rinverdendo i processi stalinani ma in chiave farsesca, le propaggini della fine dell'antipolitica sembrano delinearsi. Al beau geste, salutato con gli osanna, dei 28 milioni restituiti dai pentastellati, seguirono le elezioni ammnistrative .Ebbene, Grillo si è di colpo rimpicciolito al di là di ogni pessimistica previsione, finendo ai margini della vita politica.

Lo spocchioso mood di un pugno di parlamentari senza arte né parte, antipatici e intolleranti peggio di una setta del Thugs, è la versione dell'impotenza e della impreparazione. L'antipolitica di oggi diventa così l'ultimo rifugio degli imbroglioni,degli incapaci. Ha contagiato movimenti da Di Pietro a De Magistris a Ingroia finiti al macero proprio perché vissuti e gestiti nell'assunto ideologico della loro supposta superiorità morale rispetto alla "degenerata Italia del berlusconismo" su cui reclamavano l'eliminazione giudiziaria. Anche la sinistra è stata, e lo è ancora, percorsa da questa ventata forcaiola che ha alimentato un vasto grumo di odio politico che è, per l'appunto, la semplificazione della complessità, la negazione della politica. Forse, dico forse, con la collaborazione, sia pure forzata, Pdl-Pd sta iniziando una fase nuovissima capace - forse, lo ripeto - di far rientrare dalla finestra la politica presa a calci e cacciata dalla porta. Anche per questo, qualunque siano i verdetti giudiziari imminenti, al Cav conviene mantenere ferma la barra della stabilità e a Letta, che esce più rafforzato dal G8, quella della governabilità.

Con un'avvertenza:che la governabilità deve essere tale, che il rinvio sistematico la nega,che le decisioni a metà scavano la fossa. E non si sottovaluti la negatività di un Porcellum lasciato tale e quale nonostante i giuramenti di cambiarlo. È stata fatale a Pd e Pdl quella rinuncia furbesca che ha agevolato Grillo e i suoi miracolati dal web. Pensiamo al ventilato sempresidenzialismo o come si chiama. Cambiare sistema elettorale/istituzionale è la precondizione di ogni credibilità riformatrice. Sulla riforma ci sta lavorando un serio Quagliariello. Si ispiri, il ministro, ad uno dei suoi più importanti libri, quello su Charles De Gaulle e alla sua impareggiabile lezione: quella di una politica che sa guardare molto in là. Fino a noi. E oltre.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:38