Il ridimensionamento dell'Udc lo avevamo previsto e descritto più volte su Notapolitica, ma non avremmo mai immaginato che le pulsioni suicide di Pierferdinando Casini si spingessero al punto di lasciar travolgere il suo partito da un montismo su sul cui cinismo politico non avremmo giurato fino a qualche settimana fa. Ne è valsa la pena, chiediamo a Casini, liquidare la sua formazione in cambio di una sempre più incerta e, comunque, precaria sopravvivenza politica personale? Non crediamo che il leader dell'Udc dirsi soddisfatto delle scelte avventate compiute negli ultimi mesi a fronte di sondaggi che lo danno ad un passo dal baratro. Ha voluto intestarsi a tutti i costi la "salita in politica" di Monti, ma senza fare i conti con le conseguenze.
Si è disperatamente battuto affinché il Professore non presentasse una lista unica alla Camera, come invece ha fatto al Senato, per conservare l'identità dell'Udc e far "pesare" i suoi voti. Ha accettato che Enrico Bondi, su mandato del premier, facesse l'esame di "presentabilità" dei suoi candidati con il risultato che è stato costretto a lasciare a casa raccoglitori di consensi, tutt'altro che inquinanti, e parlamentari di lungo corso, esperti conoscitori del Palazzo. Ha dovuto ingaggiare una sotterranea "guerra" con il ministro Andrea Riccardi per contendergli le piazzeforti ecclesiastiche: ne sta perdendo una dopo l'altra.
Chi lo ha incontrato riporta l'immagine di un Casini che alterna depressione a rabbia. Lo si può capire anche quando alza la voce per dire che non farà mai la stampella di Bersani, semmai il segretario del Pd dovesse chiederglielo, ma ne dubitiamo. Uscito decorosamente indenne dall'opposizione a Prodi e a Berlusconi, a Casini non è mai saltato in mente di poter essere fagocitato, in poco più d'un mese, da Monti, da colui che avrebbe dovuto innalzarlo a co-protagonista della rinascita repubblicana. Adesso, davanti a miserrimi sondaggi che certificano il suo crollo verticale, è disperatamente solo, abbandonato, si dice, perfino dai più fedeli che gli sconsigliavano l'acritica sottomissione alla "Scelta civica" e lo esortavano a rilanciare il partito prendendo le distanze da chi lo stava cannibalizzando.
Insieme con Fini - elettoralmente irrilevante e perciò neppure lambito da Monti che non ha tempo da perdere con ossi spolpati - Casini è la prova vivente che quando in politica non si ha più niente da dire e si tenta di sfruttare l'occasione che altri creano per crescere elettoralmente, si va inevitabilmente a sbattere. E ci si fa molto male.
Se l'Udc, dopo aver vagheggiato la costruzione di un Terzo polo abbandonandolo senza motivo, dopo essersi intestato il ruolo di promotore di un non meglio precisato "partito della nazione" facendone perdere le tracce rapidamente, dopo aver "scoperto" Monti attribuendogli il ruolo di salvatore della patria ha dovuto prendere drammaticamente atto che il "fregolismo" (disperatamente negato asserendo di non essersi mai mosso dal mitico Centro) in politica non paga. E, soprattutto, provoca reazioni contrarie nello stesso elettorato di riferimento che, scarsamente fidelizzato, di fronte alla prospettiva di votare il capo della coalizione non esita ad abbandonare colui che nella migliore delle ipotesi ne sarà il vassallo.
Lo spettro del 2% è l'incubo che tormenta i sonni di Casini. Ma anche di Fini. Se infatti l'infausta ipotesi della discesa sotto tale soglia si sopravvivenza dovesse prendere corpo, i due ex-delfini di Berlusconi si troverebbero in un infernale girone a contendersi la posizione di "miglior perdente", con il risultato che uno dei due non porterebbe neppure un deputato a Montecitorio.
Ma chi glielo ha fatto fare? S'interrogheranno a lungo, Fini e Casini, sulla scelta politica suicida cui sono stati indotti dalla supposizione che con Monti avrebbero davvero costruito un polo alternativo al centrosinistra ed al centrodestra. Il Professore glielo ha fatto credere mentre oliava i meccanismi per succhiargli i voti. Al presidente della Camera non so che cosa resterà; al suo predecessore forse si schiuderà la prospettiva di mettere a disposizione del Pd i pochi senatori che raccatterà, candidati nel listone montiano, in cambio non si sa bene di cosa posto che lo scranno più alto di Palazzo Madama sarebbe già stato promesso a Monti.
Finirà così l'avventura dell'Udc? È probabile. A Casini gli è scappato di mano quando i suoi maggiorenti hanno avuto la percezione che nel lessico di Monti alleanza significa sudditanza. E se ne sono andati. Portandosi via le ragioni di una militanza politica e lasciando il premier scorrazzare per le praterie centriste conquistando consensi senza doversi dannare l'anima. È l'eterogenesi dei fini ("conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali", come spiegava Wilhelm Wundt): essersi appiattito su Monti fino ad annullarsi completamente nella sua azione politica ha condannato Casini all'irrilevanza. E probabilmente all'estinzione.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:50