Giustizia-lumaca e cittadini vittime

Cominciamo dalla notizia che sembra essere sfuggita all’attenzione dei giornali. La notizia – ne avrà certamente riferito la stampa locale, ma per la “nazionale” non ha avuto rilievo – viene da Trieste. Leggiamo: «Non avevano le mascherine, nessuno li aveva informati dei rischi del loro lavoro. Il dramma dell’esposizione all’amianto deve registrare un nuovo capitolo giudiziario: la procura della Repubblica di Trieste ha concluso le indagini su otto decessi per mesotelioma pleurico di lavoratori della Grandi Motori di Trieste. Quattro ex dirigenti dello storico stabilimento del capoluogo giuliano sono stati indagati per omicidio colposo e cooperazione colposa».

Cos’è accaduto? Le esposizioni ad amianto degli otto lavoratori deceduti, riguardano – pensate! – gli anni che vanno dal 1971 al 2000. Un arco di tempo in cui la Grandi Motori ha cambiato tre volte proprietà. Gli avvisi di garanzia riguardano il direttore generale della Grandi Motori negli anni 1970 al 1977, il presidente e l’amministratore delegato dal 1977 al 1984. Altre notifiche sono poi andate al direttore generale e amministratore delegato di Fincantieri-Divisione Grandi Motori dal 1984 al 1992, e a un componente del consiglio di amministrazione di Fincantieri dal 1984 al 1994. La procura contesta di non aver posto in essere misure per la sostituzione dell’amianto, di non aver dotato gli ambienti di lavoro di impianti fissi e mobili per l’aspirazione, di non aver posto l’amianto in ambienti separati.

L’inchiesta non è comunque finita. Ora si indaga sulla causa di altri sei decessi simili. Tre sono recenti, gli altri sono stati riaperti dal giudice per le indagini preliminari alla luce dell’inchiesta della procura, inizialmente erano state archiviate. Non si azzarda alcun pronostico su come questa vicenda finirà. Per vicende che risalgono a oltre quarant’anni fa, siamo alla conclusione delle indagini; e ce ne vorrà di tempo per i processi, ammesso che si facciano.

Si tratta comunque di una vicenda paradigmatica. Per la questione in sé e per quello che vi è sotteso. In Italia ci sono oltre 34mila siti con potenziale contaminazione da amianto e circa 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto ancora da bonificare. Se venissero rimosse 380mila tonnellate all’anno, occorrerebbero più o meno 85 anni per liberare il paese dall’amianto. L’archivio del Registro nazionale dei mesoteliomi, comprende fino al dicembre 2011 informazioni relative a 15.845 casi di mesotelioma maligno, diagnosticati tra 1993 e 2008. La latenza della malattia, oltre 40 anni, potrebbe far salire ulteriormente il numero dei malati, il cui picco è atteso fra il 2015 e il 2020; e si calcola che siano circa 680mila le persone esposte al rischio. 

Queste le cifre. Oggi poi aprite le pagine del giornale che preferite, leggerete titoli, cronache, commenti di politici e candidati che chiedono il nostro voto e la nostra fiducia, producendosi in mirabolanti promesse, e avendo cura di eludere sistematicamente le questioni che contano, come quella al diritto alla salute e la sua tutela. E per tornare al caso di Trieste: le morti di quegli otto lavoratori esposti all’amianto vanno dal 1971 al 2000. Quest’anno hanno chiuso le indagini. Solo 42 anni (quarantadue!) dal primo caso, solo 13 anni (tredici!) dall’ultimo. Quando dicono “no” all’amnistia proposta da Marco Pannella e dai radicali, perché servono riforme strutturali, e tutto l’armamentario delle banali obiezioni che ripetono a pappagallo, ricordiamoci di vicende come questa di Trieste. 

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:38