Pdl e la sindrome del tradimento

In apparenza il tratto caratteristico delle liste dei candidati al Parlamento del Pdl sembra essere quello dato dall’esclusione dei candidati definiti “impresentabili”. E sempre in apparenza la preoccupazione che ha dominato il ristretto sinedrio di via dell’Umiltà sembra essere stata quella di aver dato ascolto ai sondaggi indicanti il rischio di perdere punti per la presenza dei nomi sporcati dalle indagini giudiziarie e di aver così ceduto al pensiero unico giustizialista che domina ormai incontrastato nel nostro paese. Ma questa caratteristica, che fa gridare vittoria a quei media che grondano giacobinismo strumentale e funzionale ai disegni di potere dei propri padroni, è solo l’aspetto esteriore. In realtà, la vera caratteristica delle liste del Pdl è quella di essere state realizzate sulla base di unico criterio. Che non è quello del casting da telenovela televisiva molto spesso usato in passato. E neppure quello del premio di fedeltà per gli stretti collaboratori dei vari capi bastone del partito.

Ma è solo ed esclusivamente quello di dare vita a gruppi parlamentari destinati a rimanere uniti e compatti nella prossima legislatura. Il criterio dominante della formazione delle liste del Pdl, in sostanza, è stata la volontà di evitare che nel prossimo Parlamento il maggiore partito del centrodestra possa essere segnato dalle stesse lacerazioni, fratture, smottamenti subiti nella legislatura passata. È il criterio della prevenzione contro i traditori potenziali e le quinte colonne possibili? O, se vogliamo, è il criterio della blindatura dei fedelissimi non dei singoli big del partito ma del solo fondatore, scottato non solo dal caso Fini ma soprattutto dai casi Pisanu e Frattini? È la sindrome del tradimento? Qualunque sia il nome del principio ispiratore del sinedrio ristretto di via dell’Umiltà, è chiaro che nella messa a punto delle liste, cioè nella scelta dei futuri parlamentari, il vertice del Pdl si sia preoccupato essenzialmente di esorcizzare il rischio che all’indomani del voto una parte consistente del partito possa essere tentato dalla prospettiva di passare con Monti e conquistare gli strapuntini di governo e sottogoverno che il probabile vincitore Bersani concederà al Professore. Di qui l’esclusione non degli ex An, come hanno denunciato i vari Viespoli e Urso, ma solo di quelli che, sulla base dei tentennamenti dello scorso anno, avrebbero potuto essere più facilmente tentati dalle lusinghe e dalle promesse del del montismo subalterno alla sinistra. 

E di tutti quelli, ex An, ex Forza Italia o nani e ballerine che si voglia, non in grado di offrire garanzie di tenuta di fronte ai tentativi di frantumazione dello schieramento berlusconiano che verranno sicuramente effettuati dai centristi montiani. Si dirà che questo criterio è quello dell’ortodossia berlusconiana. E che le liste sono quelle dei fedelissimi a prova di bomba del Cavaliere. Il ché è sicuramente vero. Ma non cancella il fatto che il criterio scelto ed applicato sia stato un criterio esclusivamente e squisitamente politico. Quello della difesa ad ogni costo dell’unità del Pdl.

Questa novità può essere criticata o esaltata. Ma non può essere ignorata. Ci sarà nel prossimo Parlamento un partito di centrodestra più compatto, più blindato, più ortodosso, più chiuso. Che non si frantumerà così facilmente come in passato. Ma che che, proprio per queste sue caratteristiche e per la necessità di continuare a fare quadrato stando all’opposizione, rischierà di apparire sempre più distante e separato dalla propria base elettorale ed avrà maggiori difficoltà nello svolgere un qualche ruolo attivo e propulsivo nel dibattito delle idee. Questo vuoto andrà comunque colmato. Di sicuro fuori del Parlamento. Probabilmente, a meno che il partito non si apra effettivamente e non applichi al suo interno il metodo democratico, fuori dal Pdl.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:13