L’Italia che segue. La Merkel

Con l’avvio del suo secondo mandato, Barack Obama accentua la linea del neo-isolazionismo degli Stati Uniti che si realizza con la teoria del “guidare da dietro”, cioè con il rinunciare ad intervenire quando non esiste il rischio di un attacco diretto al territorio americano, applicata in occasione della guerra in Libia e confermata nei giorni scorsi nel Mali. Di fronte a questo sostanziale disimpegno americano, che si realizza essenzialmente sui teatri dell’Africa, del Mediterraneo e del Medio Oriente e che di fatto toglie definitivamente ai paesi dell’Europa il vecchio “ombrello Usa”, la Francia di Hollande ha seguito l’esempio di quella di Sarkozy ed ha scelto la strada della piena riappropriazione della propria politica estera e degli interventi diretti.

E l’Italia? Come conta il nostro paese, che è immerso nel cuore del Mediterraneo e che è il primo a risentire dei conflitti e dei sommovimenti in corso in Africa e nel Medio Oriente, di colmare il vuoto di politica estera provocato dal neo-isolazionismo dell’Amministrazione Obama? Se l’Unione Europea avesse una qualsiasi politica estera comune il problema sarebbe automaticamente risolto. Ed il nostro paese non avrebbe alcun bisogno di elaborare una linea autonoma di politica estera da seguire per non farsi travolgere passivamente da quanto avviene nelle aree circostanti il nostro territorio nazionale. Ma la Ue, a dispetto dei sogni irrealizzati, non ha una qualsiasi politica estera. Per la semplice ragione che non ha una qualsiasi unità politica. Di conseguenza il problema della politica estera italiana in Africa, nel Mediterraneo, in Medio Oriente, si pone in maniera urgente, pressante, drammatica. 

In occasione della campagna elettorale dovrebbe essere al centro del dibattito politico. Per la semplice ragione che chiunque sia destinato a guidare il paese nella prossima legislatura dovrà obbligatoriamente colmare il vuoto lasciato dal disimpegno americano. Invece, a parte la polemica condotta con la sordina da Bersani, solidale con Hollande non per ragioni di politica estera ma per semplice solidarietà socialista, e Vendola contrario all’intervento in Mali in nome del proprio pacifismo ideologico, nessuno si occupa di un problema dalle conseguenze drammatiche sulla possibilità del paese di uscire dalla crisi. Che questo silenzio possa provenire dai partiti senza identità non stupisce affatto. 

Ma che un silenzio del genere caratterizzi chi ha il compito istituzionale di guidare la politica estera del paese non solo stupisce ma preoccupa enormemente. Tanto più che proprio chi guida il paese ed è “salito in campo” con il proposito di continuare a farlo anche nei prossimi anni, non esita a criticare i partiti concorrenti per il loro provincialismo e la loro tendenza ad occuparsi solo di questioni domestiche e prive di qualsiasi respiro internazionale. Il riferimento a Mario Monti è fin troppo esplicito. Nella sua lunghissima intervista al Corriere della Sera di domenica scorsa non figura neppure un riferimento lontano alla questione di come l’Italia intenda supplire all’assenza di quel comodo “ombrello americano” grazie al quale il nostro paese e aveva potuto evitare l’incombenza (ed i costi) di una propria politica estera. Chi contesta il provincialismo e la vocazione domestica degli altri, in sostanza, mette in mostra lo stesso provincialismo e la stressa vocazione strapaesana. Con l’aggravante che un presidente del Consiglio che si candida a succedere a se stesso ha l’obbligo istituzionale di fornire una risposta al problema evitando di lasciare intendere agli italiani che, in economia ed in politica estera, la sua linea politica è quella del “seguirò la Merkel”. Monti, in sostanza, ha responsabilità maggiori dei partiti senza identità. Se non se ne fa carico, non può offendersi se poi qualcuno rileva che il suo slogan elettorale “L’Italia che sale” va letto come “L’Italia che segue”.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:13