L’incognita crisi  sui piani dei partiti

L’idea di Pier Luigi Bersani per il dopo elezioni prevede un Pd vincitore sia alla Camera che al Senato che si apre magnanimamente alla collaborazione con il centro di Mario Monti offrendo al Professore non la presidenza della Repubblica, come era stato ipotizzato in passato, ma un semplice incarico ministeriale. L’idea di Silvio Berlusconi per il dopo elezioni ipotizza che il Pdl, dopo aver imposto il pareggio al Pd al Senato e ridimensionato il disegno di Monti di conquistare il ruolo di dominus centrale della politica italiana, sia disponibile ad una trattativa per una grande coalizione o, in alternativa, si rinserri all’opposizione in attesa del prevedibile collasso di una eventuale coalizione sinistra-centro incapace di fronteggiare la crisi. L’idea di Mario Monti, invece, è di impedire la vittoria piena del Pd, di limitare al massimo il recupero del Pdl e di cercare di trasformare l’area centrista non nella “stampella” della sinistra ma nell’asse centrale della politica come ai bei tempi del sistema tolemaico democristiano.

Le tre idee hanno in comune un chiaro schematismo politologico e la totale sottovalutazione di una incognita che potrebbe sconvolgere non tanto l’andamento di una campagna elettorale brevissima, quanto proprio quel dopo elezioni su cui puntano gli occhi i leader dei tre principali schieramenti politici. Questa incognita è la situazione reale del paese. Che, a dispetto delle trionfalistiche dichiarazioni di chi assicura che il governo tecnico abbia salvato l’Italia dal baratro, sono sempre più pesanti, drammatiche, potenzialmente esplosive. Finita l’overdose elettoralistica, che sopisce in qualche modo le tensioni che montano dentro la società nazionale, la realtà tornerà a far sentire i suoi effetti devastanti. Perché nel frattempo la crisi non sarà diminuita ma aumentata, la recessione non sarà regredita ma crescita, i consumi non saranno tornati ai livelli degli anni precedenti ma avranno subito un ulteriore calo, l’occupazione non avrà avuto alcuna ripresa ma sarà precipitata ulteriormente, le difficoltà delle aziende e dei lavoratori non saranno diminuite ma aumentale ed il peso dell’apparato burocratico dello stato sul cittadino rappresentato da una pressione fiscale insostenibile non si sarà allentata ma avrà subito una ennesima impennata.

In queste condizioni l’idea del presidente del Consiglio di tagliare le ali estreme degli schieramenti bipolari diventare una pia illusione. Perché, con una situazione sociale diventata incandescente, saranno proprio le ali estreme a menare le danze della politica italiana. 

Già si parla, ad esempio, di una possibile separazione della componente di Sel dallo schieramento bersaniano e di una sua possibile convergenza con i giustizialisti rivoluzionari di Antonio Ingroia. E non è affatto difficile ipotizzare che di fronte alla entrata in vigore di quel redditometro inventato dai burocrati dalla cultura pauperista ma dai portafogli personali pieni, l’intero Nord su cui grava il peso maggiore della pressione fiscale, possa spingere la Lega e lo stesso Pdl a compiere gesti clamorosi di protesta e di rottura.

La crisi e la sua sottovalutazione da parte di chi ragiona solo in termini politicisti, in sostanza, rappresentano una incognita che se dovesse scattare stravolgerebbe ogni genere di piano studiato a tavolino. E renderebbe o obbligatoria, come una sorta di ultima spiaggia, il ricorso alla grande coalizione o trasformerebbe le ali estreme in cicloni diversi ma convergenti destinati a mandare tutto in pezzi. Come nelle primavere arabe che si sono presto rivelate delle estate segnate da vampate di furia incontrollata ed incontrollabile.

Chi pensa alle liste, oggi, non si pone questo problema. Ma presto o tardi lo dovrà affrontare. E c’è il serio rischio che avendolo ignorato non sappia farlo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52