
Per un attimo alcuni di noi (non tutti, a dire il vero) avevano accarezzato l’idea di un Mario Monti possibile federatore dei moderati. L’operazione era rischiosa ma il deserto di idee attuale faceva intravedere un’oasi anche laddove, con ogni probabilità, non vi era traccia alcuna né di acqua né di ristoro. Il bocconiano chiamato coram populo alla Presidenza del Consiglio per salvare il paese dal baratro si è lasciato corteggiare a lungo. Per molto tempo è parso ostaggio dei diktat del Partito Democratico (soprattutto sul tema della riforma del mercato del lavoro), poi il gesto politicamente molto rilevante di volare a Bruxelles al vertice PPE ha fatto credere a tutti che fosse possibile un ritorno di fiamma con la maggioranza che nel 1994 lo inviò in Europa come Commissario. I politici, in un paese normale, si giudicano sempre e comunque con due metri abbastanza oggettivi: uno misura quello che dicono e i programmi che scrivono, l’altro rende conto dei risultati ottenuti. Berlusconi è un campione nel primo caso e a lungo ha narrato un paese e un centrodestra che esistevano probabilmente solo nel suo personale immaginario.
Ad onor del vero va detto che quella lirica più o meno liberale si scontrava, in campagna elettorale e non solo, con parole d’ordine uguali e contrarie; tese alla demonizzazione del libero mercato, dell’iniziativa privata e inneggianti alla bellezza delle imposte e all’importanza di redistribuire il reddito. E’ chiaro che molti si sono fidati. Non perché Berlusconi fosse affidabile ma semplicemente perché, al netto delle cose che faceva, era almeno l’unico in grado di dire qualcosa di centrodestra. La realtà ha dimostrato con pugno duro che il mare che divide parole e azioni si è fatto ormai non più navigabile e che il Cavaliere non riesce a incantare nemmeno la sua tradizionale base di consenso. Per i popolari, liberali, conservatori di questo paese la riva opposta non è un approdo appetibile nemmeno fingendo di non conoscere la storia personale e politica dei leader del centrosinistra nazionale. Niente, dalle parole d’ordine ai modi spicci con cui hanno liquidato il “fenomeno” di Matteo Renzi, lascia intravedere un seppur minimo barlume di socialdemocrazia in salsa blairiana o clintoniana. Non ci sarebbe piaciuto comunque ma avremo riconosciuto a quella posizione un ritardo di soli 20 anni con il resto del pianeta terra.
Date queste condizioni generali e particolari, sia la possibile discesa in campo di un movimento guidato da Oscar Giannino che la tanto annunciata salita in politica di Mario Monti avrebbero potuto rappresentare un’alternativa valida e tutto sommato auspicabile per provare a ri-mobilitare il campo liberal-conservatore di questo paese. Se su Giannino il giudizio è sospeso e attendiamo si chiariscano le prossime mosse, di Mario Monti va detto che è stata una delle più grandi delusioni che la, già di suo deludente, politica italiana ci abbia mai riservato. Da Presidente del Consiglio ha fatto l’esatto contrario di quello che un’agenda liberale avrebbe richiesto. Ha alzato la pressione fiscale, non ha ridotto il debito pubblico, ha tagliato la spesa a casaccio, si è fatto imporre tempi e modi dell’azione politica da Germania ed Unione Europea. Dalla sua ha due scusanti che lo rendevano ancora spendibile: il poco tempo a disposizione (e quindi il fatto che misure così drastiche potressero essere state le uniche possibili) e la variegata maggioranza con cui tutti i giorni ha dovuto fare i conti. Mario Monti ha scelto coscientemente di spendere quel suo credito politico scrivendo un’agenda e proponendola al Paese. Diciamolo subito: è vaga, autoreferenziale, scritta per slogan. In tempi diversi sarebbe stata definita un libro dei sogni, oggi appare molto di più come un racconto horror.
Le uniche due cose concrete che si possono estrapolare dalle 25 pagine scritte (forse) da Pietro Ichino sono l’idea non proprio nuovissima di un reddito minimo garantito e la solita panacea di tutti i mali che si chiama patrimoniale. Altra spesa e altre tasse, insomma. Infiorettate con un linguaggio a metà tra la lirica democristiana di fine prima repubblica e la sobrietà bocconiana di chi non sapendo cosa dire riesce a riempire 25 pagine di cattive intenzioni senza uno straccio di spiegazione sul “come”. Abbiamo già dato, troppe volte, sia sul fronte delle promesse a scatola chiusa che su quello del poco coraggio. Vogliamo qualcuno che ci dica che lo stato, questo stato, è un problema da risolvere. Che le tasse, queste tasse, sono gabelle insopportabili e vanno abbassate subito perché rappresentano la peggior zavorra di questo paese, altro che evasione. Ci scusi Professore ma comunque la si guardi questa sua “Agenda” è una proposta irricevibile: ha sprecato un’occasione irripetibile per rifondare il centrodestra e ha scritto un programma che servirà come stampella al peggior centrosinistra europeo. Buona fortuna. Al paese, non a lei.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:19