
Una politica povera, anzi misera, priva di prospettive a lungo termine, tutt’altro che entusiasmante. All’avvio di questa livida e rissosa campagna elettorale si coglie l’assenza di contenuti nei programmi (chiamiamoli così) e nei discorsi degli esponenti più significativi. Si è, insomma, di fronte ad una visione ragionieristica piuttosto che ad una contesa di idee e concezioni che trascendano le pur importanti cifre che vengono noiosamente ed ossessivamente sciorinate da questo e da quello. Brilla, si fa per dire, in tal senso il premier Mario Monti il cui orizzonte sembra essere l’aritmetica applicata al governo del paese: nessuno gli ha spiegato che con i numeri non si reggono gli Stati. Seguono a ruota, come se non avessero altro da dire, Berlusconi e Bersani, entrambi affetti dallo stesso morbo, cioè a dire la riduzione della politica ad aridi e discutibili conti. Soggiogati dalla difficile crisi una qualche attenuante comunque ce l’hanno, ma non tale da assolverli dal vuoto che coltivano nel praticare una politica senz’anima, quasi fossero a capo di consigli di amministrazione piuttosto che di partiti.
Per quanto dediti ad una pratica che toglie al confronto una più ampia ed ambiziosa prospettiva, non dovrebbe tuttavia sfuggire loro che governare i popoli è molto più complesso che svilire bisogni ed interessi ad espressioni matematiche,indecifrabili logaritmi, contorte analisi macroeconomiche. È per questo che i leader, unitamente ai comprimari, non hanno appeal, mancano di attrattiva. Non si rendono conto che ridurre la sfera pubblica ad un gigantesco ed incomprensibile grafico nel quale tasse e spese s’intrecciano con le curve del deficit e dell’evasione non basta a soddisfare le aspettative dei cittadini che pretendono ben altro e si guardano attorno smarriti, per cercare di cogliere dalla multiforme e cangiante realtà quale la loro dimensione e, di conseguenza, quali comportamenti assumere. Non sarà un’Agenda o un programma elettorale a colmare il divario tra la politica e la gente, insomma. C’è in giro una domanda diffusa, che nessuno raccoglie, di una migliore qualità della vita che, ovviamente pur non prescindendo dalle cifre fredde dei bilanci dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, si fonda sulla ricerca di rapporti più stabili e di relazioni comunitarie migliori.
È il grande tema dei diritti e dell’etica che sembra essere sfuggito ai politici, mentre le persone - spesso considerate alla stregua di meri elementi statistici - s’interrogano su questioni che attengono allo sviluppo dell’esistenza in rapporto alle questioni che pone lo sviluppo o la decrescita demografica cui è connesso il modello di welfare da adottare; la sudditanza alla tecnologia ed il limite di questa di fronte alle libertà violate dal suo uso sempre più spregiudicato; il dialogo con le genti e le culture in un mondo votato ormai all’uniformità ed aggredito dal “pensiero unico” e le possibilità degli stati nazione di essere comunque fattori di coesione di comunità plurali, come sosteneva il grande pensatore conservatore Robert Nisbet. E poi sulle identità minacciate, sulle nuove povertà, sulle pericolose disparità tra nord e sud del mondo, sull’infelicità crescente tra le nuove generazioni, sulla morte dell’autorità e sul declino di una consapevole concezione e pratica della libertà, qualcuno sente forse dire qualcosa dai Soloni che ci ammorbano dalla mattina alla sera con lo spread e con l’Imu, come se le nostre esistenze fossero tutt’uno con i titoli azionari e con le odiose tasse escogitate da chi, direttamente o indirettamente, ha partorito la bancarotta? Non voglio qui dire che sarebbe politicamente eccellente se lorsignori si dedicassero alla riforma delle riforme: quella dello stato. Ne ho pudore, tanto hanno dimostrato di essere inadeguati a partorire perfino una banale legge elettorale.
Ma sommessamente mi permetto di ricordare che senza buone istituzioni non si costruiscono società ordinate e che società moralmente malate non partoriscono buona politica. Immagino già i ricordati leaderini alzare le spalle e far finta di niente. Così come mi pare più o meno tutti, tranne coloro che saranno direttamente toccati, fingono di non vedere un vulnus alla politica nella levata d’ingegno di Mario Monti che pretende di sottoporre al vaglio di un tagliatore di teste di sua fiducia le candidature dei partiti della sua coalizione, vagliando i profili degli aspiranti competitori. Roba giacobina, insultante pratica da tricoteuses in attesa di veder cadere teste mozzate. I partiti dovrebbero essere capaci di tutelare l’autonomia della politica rispetto a certi autocrati che sembrano aver fatto di se stessi gli strumenti di una oscurantista palingenesi degna di arbitrari custodi di una democrazia debordante nell’intolleranza. Il domani, di questo passo, non potrà che essere peggiore del presente.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:47