Il paracadute privilegiato di Ingroia

Antonio Di Pietro ha raggiunto la notorietà con le inchieste su Mani Pulite e successivamente ha pensato bene di mettere a frutto l’attività effettuata come magistrato fondando un partito e dedicandosi all’attività politica. Luigi De Magistris ha conquistato le prime pagine dei giornali scatenando una furibonda polemica con il Consiglio superiore della magistratura e con il vicepresidente dell’epoca, Nicola Mancino. Ha utilizzato l’effetto mediatico prodotto dalla vicenda, si è vestito da Masaniello e, con una vibrante campagna elettorale condotta all’insegna della protesta contro i poteri tradizionali, è riuscito a diventare sindaco di Napoli. I loro esempi, ovviamente, non sono rimasti isolati. Al contrario, hanno trovato numerosi imitatori pronti a tesaurizzare la propria attività di magistrato per costruire delle brillanti carriere politiche. 

Ora tocca ad Antonio Ingroia seguire le orme di Di Pietro, De Magistris e compagnia bella. L’ex pm della procura di Palermo, dopo aver raggiunto l’apice della popolarità con la pesante contestazione mossa nei confronti del presidente della Repubblica a proposito del coinvolgimento di Nicola Mancino nell’inchiesta sul presunto patto tra mafia e stato, si prepara a gettarsi nella mischia della prossima campagna elettorale come capolista del Movimento Arancione fondato da De Magistris e Leoluca Orlando e pronto ad apparentarsi con l’Italia dei Valori e con Rifondazione comunista. La notizia non deve preoccupare o suscitare alcuna irritazione. Al contrario, deve far tirare un sospiro di sollievo. Finalmente finisce il ridicolo balletto del magistrato che rivendica il diritto di cittadino ad esprimere liberamente la propria opinione salendo sulla cattedra privilegiata del proprio ruolo di toga totalmente legibus soluta.

Finalmente il super-eroe della procura di Palermo, provvisto dei super-poteri che l’autonomia, l’indipendenza e la discrezionalità nell’obbligatorietà dell’azione penale gli assicurano, diventa un cittadino normale con gli stessi diritti e gli stessi doveri di di ogni altro comune abitante del nostro paese. E, soprattutto, finisce quella singolare telenovela che prevede costosi collegamenti televisivi di tutti i programmi informativi delle tv pubbliche e private con il Vate barbuto piazzato tra le palme del Guatemala a dispensare proclami di varia natura agli sbigottiti telespettatori italiani. È un bene, in sostanza, che Ingroia renda ufficiale quella partecipazione alle partite politiche in cui fino ad ora figurava nelle vesti improprie di arbitro. A guadagnarci non c’è solo la chiarezza dei ruoli e dei comportamenti ma è, in primo luogo, il sistema democratico fondato sul confronto delle idee realizzato su basi paritarie tra i cittadini. Questi ultimi ora possono valutare senza condizionamenti di sorta le idee di Ingroia.

Ed approvarle o respingerle senza l’ingiusta speranza di ottenere la patente della virtù nel primo caso o di finire nell’inferno dei reprobi nel secondo. Semmai, visto che è molto di moda in questi tempi l’idea che a candidarsi possano essere solo le persone perbene, non sarebbe male incominciare a riflettere sulla opportunità di aggiungere alle liste pulite anche le liste dei non privilegiati. Cioè di quelli che per essere eguali agli altri cittadini bilancino lo sfruttamento elettorale della propria notorietà di magistrati rinunciando all’aspettativa e rassegnando le dimissioni dall’ordine giudiziario all’atto della discesa in campo in politica. Troppo comodo puntare al professionismo politico con il paracadute offerto dalla possibilità di rientrare a pieno titolo e stipendio nella magistratura in caso di bocciatura popolare!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:24