Ritrovare il bandolo della matassa

Anzitutto una premessa: com’era ovvio il dibattito sulla legge elettorale ha finito per incanalarsi sulla questione di gran lunga più rilevante per una forma parlamentare di una grande democrazia, quella di come attraverso l’elezione dei parlamentari si forma una maggioranza di governo. Un obiettivo rispetto al quale il rapporto col singolo parlamentare è obiettivamente molto meno rilevante. Tuttavia non vorrei che ora ce ne scordassimo, lasciando andare avanti una soluzione pessima perché tutti concentrati su altro, anche perché le due questioni sono intrecciare. Infatti il testo di cui si discute rischia di scardinare alla base il sistema, anche indirettamente in termini di governabilità. Sia alla Camera sia al Senato suddivide gli eletti nella medesima circoscrizione in due categorie: il gruppo dirigente ristretto che per un terzo si salva coi listini bloccati e tutti gli altri, i restanti due terzi, abbandonati allo scontro delle preferenze.

Non solo le preferenze sono un’anomalia (tra i paesi vicini riscontrabile solo in Grecia) che scardina i partiti, specie se legate alla grande dimensione della circoscrizione (l’intera Regione al Senato!), ma il metodo scelto è ancor più esplosivo. Pensate al segretario di partito o al suo stretto collaboratore eletto col listino bloccato mentre sullo stseso livello territoriale, grazie al rapporto con una categoria economica o comunque ad una solida organizzazione personalistica, ci sarà un eletto con 50.000 preferenze. Quale sarà dopo la gerarchia tra di loro? Saranno governabili quei gruppi parlamentari? Non a caso in tutti i sistemi in cui si sono adoperati (e si adoperano tuttora) metodi misti le circoscrizioni non coincidono: metà collegi uninominali e metà liste regionali in Germania, come erano tre quarti di uninominali e listini bloccati di circoscrizione col Mattarellum. E non a caso nella cosiddetta Prima Repubblica la Camera era per intero con le preferenze e il Senato per intero con l’uninominale–proporzionale.


Sull’altra questione, la formazione di una maggioranza, il bandolo si è perso dopo le amministrative, come ha ben spiegato diffusamente Augusto Barbera. L’Udc è sempre rimasto ferma sulla sua volontà di essere decisiva dopo il voto. Viceversa i due partiti maggiori si sono in buona parte smarriti. Soprattutto il Pdl che da allora ha in sostanza ritenuto di essere a priori lo sconfitto dal voto e che quindi oscilla nei fatti tra due linee: o produrre un sistema in cui non vinca nessuno per rieditare la stessa maggioranza di oggi o votare col sistema attuale nella speranza che la coalizione di centrosinistra Pd–Sel gonfiata dal premio si riveli eterogenea come l’Unione del 2006 e che esploda presto.
Il Pd che aveva dato il via libera al sistema ispano–tedesco (che stava nella logica del partito a vocazione maggioritaria che si presenta da solo per poi cercare coalizioni omogenee), sia pure con varie esitazioni e con una certa dialettica interna, si è poi riconvertito bruscamente al premio di coalizione, contro cui peraltro molti dei suoi dirigenti avevano appoggiato il referendum Passigli, incaricato di eliminarlo tornando indietro verso la prima fase della Repubblica anziché andando avanti verso un maggioritario funzionante. Un referendum che per fortuna fu allora bloccato, anche se quello sul Mattarellum fu poi a sua volta fermato dalla Corte forse con qualche eccesso di zelo.


Volendo le soluzioni tecniche sarebbero ancora pienamente disponibili: ci sarebbe persino tutto il tempo fino alle elezioni di aprile per ritagliare i collegi uninominali, per i quali basta circa un mese e mezzo, ma ciò richiederebbe a tutti di ritrovare il bandolo perso dopo le amministrative. Tra le alternative possibili, se ci si dovesse fermare alle correzioni minimali, quella di prevedere un doppio turno di coalizione, come ha già suggerito Roberto D’Alimonte. Se nessuna coalizione ottiene almeno il 40% dei voti il premio sarebbe assegnato a quella vincente dopo il ballottaggio, con la possibilità di ulteriori apparentamenti tra un turno e l’altro. Così le forze di centro potrebbero andare da sole al primo turno e, qualora arrivate terze, potrebbero prospettare la loro scelta agli elettori anziché solo in Parlamento.
Quanto al centro–destra, sin qui ha sempre obiettato a doppi turni nei collegi per timore dell’astensiosnismo del proprio elettorato, ma questo è un doppio turno nazionalizzato di governo, un’altra cosa. Esso non può volere nel contempo la proporzionale pura e organizzare primarie per il premier. Se prosegue con le primarie deve per coerenza battersi per un sistema selettivo.

 

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:36