È tornato Obama il pifferaio magico

Non è stata l’elezione del Presidente degli Usa. Per metà degli americani e quasi tutti gli europei è stato un referendum su “vuoi altri 4 anni di Obama?” accolto come se si chiedesse “vuoi firmare contro la droga?”. Come dire di no?

Barack Obama è un capolavoro, una globale allucinazione collettiva, un geniale, fantastico pifferaio magico 2.0. Da Steve Jobs della politica, è riuscito in una impresa storica: far sì che la maggioranza del mondo libero e occidentale si innamorasse della sua storia, del suo personaggio, delle sue promesse, dimenticando completamente quanto è realmente avvenuto. Questa fiction dura da 5 anni ma l’episodio della rielezione del 2012 è clamoroso quanto quello dell’elezione del 2008: errare humanum est, perseverare diabolicum.

Se l’America è una pizza, con l’impasto uguale per tutti (la bandiera, la costituzione, il libero mercato, l’eccezionalismo americano) e poi gli ingredienti ognuno se li sceglie da sé - uno ci mette alici e mozzarella, un altro peperoni e ananas, e così via - Obama è riuscito a fare una pizza con sopra contemporaneamente tutti i possibili ingredienti togliendo le ultime due caratteristiche dell’impasto. Invece di risultare una cosa immangiabile, Obama ne ha magicamente tratto un piatto di cui tutto il mondo non può più fare a meno. 

Gli europei che sinceramente lo adorano lo fanno per tre motivi. 1) La cultura americana pop (niente è più pop di Obama) ha ancora un grosso ascendente su noi europei, che mascheriamo spesso da odio la nostra invidia ma oggi finalmente la liberiamo nell’adorazione in ginocchio. Se ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria, non poteva che esserci il cieco e incondizionato amore per Obama dopo 8 anni di identico odio per Bush. 2) Noi detestiamo i nostri politici: da anni non ne confermiamo uno e chiunque salga al potere perde in breve il consenso. Situazione perfetta per rivolgere i nostri sogni verso qualcuno oltreoceano. 3) Non ci è mai piaciuto lo yankee che ci ha superato senza statalismo, welfare state from the cradle to the grave, pacifismo imbelle e tax and spend. Chi meglio di Obama per tranquillizzarci che avevamo ragione noi, visto che incarna il più grande avvicinamento al moribondo modello europeo mai visto nella storia? 

Per gli americani è diverso. Abituati ad uno Stato che non è padre padrone; stanchi di decenni di prese in giro europee per aver destinato i loro dollari a difenderci anziché dotarsi di sanità pubblica apparentemente gratuita; affascinati dalle sirene del comodo modello statalista che dice di sì a tutti e si spaccia per solidale, gli americani sono stati colpiti dal ciclone Obama e si sono perdutamente innamorati del mondo parallelo che ha raccontato loro. Molti lo hanno rivotato per principio di coerenza, per il quale difendiamo le nostre scelte con intensità e testardaggine proporzionali all’entusiasmo col quale le abbiamo fatte. Molti hanno accettato senza problemi che, manco fosse un decreto omnibus della nostra seconda repubblica, comprando il semidio afroamericano cool si beccassero anche la depressione dell’economia, la disoccupazione, le scuse al mondo per il passato americano, il rancore verso successo e ricchezza, l’imposizione dello Stato tra i fattori di successo della prima economia mondiale. L’importante era la strapagata attricetta o lo straviziato rapper che si permettessero di twittare come si dovesse comportare gente che lavorando dieci volte di più guadagna in un anno quello che loro fanno in un giorno. Battere tutto questo sarebbe stato impossibile. 

La prima reazione alla vittoria di Obama è stato il sollievo per il limite dei due mandati. Ma c’è Michelle, e nel 2016 sarebbe perfetta. Se non scoppia questa bolla di sapone, questo grande e pericoloso matrix in cui siamo piombati, dopo 8 anni di Barack rischiamo 8 anni di Michelle. E speriamo che non salti fuori che la figlia più grande è gay (con tutto l’ovvio rispetto, ci mancherebbe), perché altrimenti ne riparliamo nel 2032. 

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:37