La continuità mondiale e l'Italia

La kermesse americana è finita. Obama ha rivinto non più nei panni del Messia nero venuto a salvare il mondo ma in quelli di presidente uscente un po’ usurato ma sempre preferibile ad uno sfidante privo del carisma necessario ad interrompere la strada del doppio mandato dei democratici. Dagli Usa, dunque, viene un segnale di continuità senza entusiasmo. Come a dire che non ci possono essere scarti, impennate, accelerazioni per uscire dalla crisi epocale in cui è caduto l’Occidente in particolare ed il pianeta in generale. Il ché, tradotto in italiano, significa che la brevissima ricreazione offerta dallo spettacolo a stelle ed a strisce è finita e che si torna alla normalità di una situazione politica interna che marcia in maniera inesorabile ed immodificabile verso elezioni destinate a confermare, sia pure in un quadro di maggiore difficoltà, l’attuale presente.

La piega presa dal lavoro parlamentare sulla riforma del sistema elettorale lo conferma nella maniera più evidente. La forzatura compiuta da Pdl, Lega ed Udc sul premio di maggioranza da far scattare alla coalizione vincente oltre la soglia del 42,5, quasi sicuramente corretta da un piccolo premio di consolazione per il partito più votato, indica che nessuno si illude sulla possibilità di elezioni capaci di imprimere una svolta politica definita alla politica nazionale. Il successo di Grillo in Sicilia ed i sondaggi che lo danno in crescita costante a livello nazionale cancellano l’illusione del Pd di poter conquistare la maggioranza alla Camera ed al Senato mantenendo inalterato il Porcellum. E, caduta l’ultima speranza di Pierluigi Bersani di diventare l’Hollande italiano grazie alla vecchia legge elettorale, si è così aperta la strada alla realizzazione di una nuova legge proporzionale destinata a portare alla conferma, riveduta e corretta dalla circostanze, del governo dei tecnici alla guida del paese.

Bersani protesta sostenendo che la forzatura di Casini, Alfano e Maroni è uno scippo alla possibilità della sinistra di governare da sola. Ma la sua è una protesta formale. Perché il leader del Pd sa bene che la crescita alla sinistra del proprio partito di un’area di opposizione dominata dal movimento di Beppe Grillo rappresenta un ostacolo molto più grande di una qualsiasi legge elettorale proporzionale al suo ingresso trionfale e senza scomodi alleati a Palazzo Chigi. 

È probabile, allora, che dopo le elezioni sia proprio Bersani a poter guidare il futuro governo in quanto leader del partito più votato. Ma lo potrà fare solo da primus inter pares, cioè in comproprietà con una maggioranza di larga coalizione inzeppata di tecnici e subordinata alle indicazioni del Quirinale confermato per l’occasione nel rappresentante italiano dei poteri sovranazionali europei. Alla continuità espressa dalla rielezione di Obama si intreccia la continuità di una politica  italiana obbligata a camminare lungo la strada della continuità imposta dai poteri sovranazionali europei. E chi pensa che pensa che questo rigido spartito possa essere modificato dalla fine del settennato presidenziale di Giorgio Napolitano e dalla  eventualità che venga eletto un Capo dello stato meno condizionato dal mito europeista di quello attuale , sbaglia di grosso. Il successore di Napolitano (non a caso si parla di Mario Monti) sarà espressione del tipo di continuità indicata. Continuità che potrà essere interrotta solo dalla lenta ripresa dell’economia internazionale o da un qualche evento traumatico capace di rimettere  tutto in gioco. 

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:14