Il paradosso di Napolitano e Grillo

Giorgio Napolitano teme giustamente le pesanti conseguenze che potrebbero derivare dall’eventuale deragliamento dei partiti italiani dal binario rigido imposto al nostro paese dai poteri sovranazionali europei. Di qui i suoi richiami alle forze politiche a non offrire alla speculazione internazionale i pretesti per alzare lo spread, la richiesta  di non turbare in alcun modo il cammino del governo tecnico di Mario Monti e la sollecitazione a rispettare la scadenza naturale della legislatura ed a condurre una campagna elettorale priva di accenni eccessivamente critici nei confronti di Bruxelles e Berlino. Napolitano aggiunge a questa serie di indicazioni anche la sollecitazione, che evidentemente non può venire dall’Europa, a cambiare l’attuale legge elettorale. Il Capo dello stato non indica il modello a cui dovrebbe rifarsi la riforma del sistema di voto. Ma poiché l’unico progetto in via di approvazione in Parlamento prevede il ritorno al proporzionale, lascia intendere non solo di essere favorevole a tale indirizzo ma anche di considerare la futura legge elettorale proporzionale quella più indicata a far restare l’Italia sul binario fissato dall’Europa.

Nello svolgere questa sua azione di persuasione continua nei confronti delle forze politiche presenti in Parlamento il Presidente della Repubblica è sicuramente animato dalle migliori intenzioni. L’emergenza della crisi non è affatto terminata. Ed il paese può superarla solo rimanendo ancorato ad una Europa che sarà pure quella dei burocratici e dei banchieri ma risulta essere l’unico appiglio esistente a cui aggrapparsi per non finire nei gorghi della speculazione internazionale. Tutto vero, tutto giusto! Peccato, però, che la conseguenza collaterale delle buone intenzioni del Capo dello stato sia quella della sempre più marcata delegittimazione dei partiti italiani agli occhi dell’opinione pubblica del paese. Si tratta di un paradosso. Ma tragicamente reale. Più Napolitano esercita la sua funzione didattica richiamando all’ordine le forze politiche e ricordando loro che non possono andare oltre le rigide delimitazioni del percorso imposto dall’Europa, più i partiti risultano delegittimati e squalificati rispetto ai propri elettori. Che bisogno c’è, infatti, di soggetti politici che non hanno alcuna autonomia di giudizio e di comportamento rispetto ad obblighi ed imposizioni prevenienti da autorità che non sono solo esterne e lontane ma anche del tutto indistinte visto che l’Europa politica non esiste e che al suo posto operano poteri privi di una precisa investitura democratica? Sempre sul filo del paradosso, quindi, si deve necessariamente rilevare che l’azione del Capo dello stato (così come quella di concerto del Presidente del Consiglio) rinforza le difese esterne del paese ma smantella progressivamente quelle interne. In questa luce si deve obbligatoriamente concludere che il vero leader dell’antipolitica non è Beppe Grillo, che con la sua azione demagogica di protesta esprime un sentimento reale di disagio di una parte consistente e crescente degli italiani, ma è proprio Giorgio Napolitano, cioè l’uomo che nella preoccupazione legittima di difendere il paese da possibili ritorsioni esterne sta dimostrando agli italiani che la politica dei partiti tradizionali non serve a nulla (tranne che ad arricchire chi la continua a realizzare). Da questo paradosso è quasi impossibile uscire. Perché se si vuole superare la crisi sulla strada indicata dall’attuale Europa si deve seguire Napolitano. Ma se segue Napolitano non si può fare a mano di delegittimare e smantellare l’attuale sistema dei partiti. L’unica soluzione è quella di una riforma istituzionale in senso presidenzialista.

Ma come potrebbero mai partiti delegittimati dall’antipolitica compiere una riforma così profondamente politica?

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:09