Sarà pure vero, come dicono i sostenitori di Pierluigi Bersani, che Matteo Renzi abbia aperto un contenzioso legale sulle regole delle primarie solo per alzare un polverone capace di nascondere la propria incapacità di presentare una qualche idea concreta su come affrontare la crisi del paese. Sotto il grande fumo comunicativo del sindaco di Firenze non c’è neppure la più vaga parvenza di arrosto programmatico.
Ma è altrettanto vero che l’accusa dei bersaniani ai renziani di non avere un qualche programma di governo e di usare la polemica sulle regola per nascondere il vuoto d’idee sembra fatta apposta per far pensare che la polemica serva al segretario del Pd per fare altrettanto. Se Renzi fa solo fumo, infatti, Bersani fa altrettanto. Con l’aggravante che mentre lo sfidante può permettersi di rinviare a data da destinarsi il momento di scendere sul concreto, il segretario vive con crescente disagio la contraddizione evidente tra il sostegno al governo Monti ed alla sua agenda europea e la scelta di spostare a sinistra l’asse politico del partito lasciando intendere che ad elezioni concluse il primo compito del Pd sarà di sconfessare i provvedimenti governativi e buttare a mare Monti e la sua agenda.
Tra i due fumi quello di Renzi è il meno preoccupante. Non perché non inquieti sapere che uno deciso a candidarsi alla guida del paese non sappia cosa diavolo vorrebbe fase se mai riuscisse a conseguire il suo obbiettivo. Ma perché il povero sindaco di Firenze non ha alcuna possibilità di vincere la battaglia. La rete in cui l’attuale gruppo dirigente del Pd lo ha imbrigliato è talmente spessa che non esiste una sola possibilità di vedere Renzi uscire indenne dalla trappola. Forse rientrerà nei ranghi aspettando il prossimo turno. Forse reagirà alla sicura sconfitta rompendo con il Pd. Di sicuro, però, non guiderà il prossimo governo. E potrà permettersi di continuare a nascondere il vuoto programmatico che lo contraddistingue.
Per Bersani, invece, è diverso. Con le regole a misura e il doppio turno studiato in funzione dell’accordo-paracadute con Vendola si è garantito la vittoria nelle primarie. Per questo la sua cortina fumogena sul suo voto programmatico è molto più preoccupante. Quale programma intenderebbe realizzare se mai riuscisse ad arrivare a Palazzo Chigi dopo la vittoria su Renzi ed una vittoria elettorale conseguita con l’alleanza certa con Vendola e quella probabile con Di Pietro?
Sulla carta l’interrogativo sembra avere una risposta certa. L’unica linea certa che appare dietro le cortine fumogene della pompa di benzina del paese natio o delle polemiche contro i finanzieri dei paradisi fiscali sembra essere quella della continuità, piena ed assoluta, con la tradizione del “più tasse, più stato” della sinistra italiana ed internazionale.
Ma come si concilia questa linea, che si sostanzia nell’ossessiva proposta della solita e scontata “ patrimoniale” , con le critiche e le resistenze contingente alla legge di stabilità del governo Monti?
Il mistero è fitto. Ed è tale non per nascondere una linea di politica economica che, purtroppo, ha il vizio di essere sempre la stessa da cent’anni e passa a questa parte. Ma per celare le manovre politiche con cui Bersani prepara la vera campagna elettorale, quella che si svolgerà dopo le primarie e con cui conta di arrivare a Palazzo Chigi con uno schieramento di sinistra destinato a chiudere una volta per tutte la fase del governo dei tecnici voluta da Giorgio Napolitano.
Non ha torto Roberto Maroni quando ipotizza che Monti non riuscirà a mangiare il panettone. Per conseguire il suo obbiettivo di creare una “gioiosa macchina da guerra” capace di portare sul serio la sinistra al governo, Bersani, dopo aver battuto Renzi, deve affrettarsi a liquidare Monti. Per andare rapidamente alle elezioni. Con il “porcellum” ed i suoi due porcellini Vendola e Di Pietro!
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:08