Tra riforma del Pdl e democrazia interna

È una poderosa sciocchezza la storia che il rinnovamento del Pdl dipenda dal tipo di riforma elettorale che verrà realizzata. Perché non è detto che si arrivi sul serio ad una qualche riforma elettorale e rimane più che possibile che si torni a votare con l’esecrato Porcellum. E perché la conferma del maggioritario o il ritorno al proporzionale non hanno nulla a che vedere con la questione del rinnovamento del partito che per vent’anni è stato l’espressione della maggioranza degli elettori non di sinistra del paese. Le sciocchezze producono errori. Ed in questo caso gli errori sono due.

Il primo è che aspettare il momento in cui l’ipotetica nuova legge elettorale prenderà il via significa perdere tempo e rischiare di arrivare a ridosso delle scadenze elettorali senza aver avviato un qualche processo di rinnovamento di un partito considerato ormai decotto dagli ultimi sondaggi. Il secondo è che far dipendere il processo di rinnovamento dal sistema elettorale significa aggrapparsi ad un alibi fasullo che serve a non riconoscere ed accettare le ragioni vere della crisi del Pdl. Crisi che non nasce dal Porcellum e che non può essere risolta dal proporzionale ma che dipende dalla progressiva ed irreversibile trasformazione delle strutture del partito (vertici e quadri intermedi) in una casta chiusa dedita solo alle lotte interne di potere e totalmente impermeabile alle istanze ed alle richieste della propria base elettorale.

Se si vuole procedere effettivamente al cambiamento del Pdl, quindi, non si deve perdere tempo prezioso. E, soprattutto, si deve avere il coraggio di risolvere la causa di fondo che ha causato lo stato di crisi attuale: l’assenza di un qualche briciolo di democrazia interna in un partito in cui il modello cesarista del leader non è stato contemperato dall’apertura alla società civile (come all’inizio dell’avventura berlusconiana) ma si è riproposto a tutti i livelli interni trasformando i cortigiani in piccoli Cesari rispetto ai propri personali clienti e servitori. Il rinnovamento, di conseguenza, va attivato subito e deve necessariamente passare attraverso l’azzeramento dei piccoli Cesari e l’applicazione del metodo democratico all’interno del partito.

L’impresa, va detto con estrema chiarezza, non è affatto semplice. L’unico che può realizzarla è sempre e comunque l’unico e vero Cesare della situazione, cioè Silvio Berlusconi. Spetta al leader accendere il motore del grande cambiamento. Che può assumere la forma della nascita dalle ceneri del Pdl di una nuova Araba fenice unitaria. Ma che può anche passare attraverso il famoso spacchettamento delle aree politiche e culturali interne e la formazione successiva di un grande rassemblement aperto a tutte le formazioni del centro destra. L’importante, però, è che al segnale proveniente da Berlusconi segua effettivamente la partecipazione della base degli elettori.

Che può avvenire non con il sistema delle assemblee degli eletti chiuse alla società esterna ma con l’applicazione delle primarie aperte per la scelta dei candidati e dei dirigenti ad ogni livello. Anche quello massimo? Anche quello. Perché se Berlusconi continua ad essere il valore aggiunto dei moderati italiani non avrà alcuna difficoltà a ricevere una grande investitura popolare. Se invece non lo è più dovrà necessariamente prenderne atto e ritagliarsi il ruolo di grande regista dell’intera operazione di rinnovamento.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:12