Finalmente una buona notizia. Silvio Berlusconi rottama il Pdl. Purtroppo con colpevole ritardo. Ma meglio tardi che mai, come si sa. Avrebbe potuto farlo prima ed in tempo utile a cercare nuove strade per incanalare un centrodestra allo sbando, ma l’incrollabile fiducia nella sua buona stella forse lo ha dissuaso. Adesso è in mezzo al guado. Non sa che fare, non sa dove andare. Facile, infatti, dire che il partito nato su un predellino è morto prematuramente. Bisognerebbe accompagnare le esequie con una qualche sensata proposta. Per quanti sforzi faccia, francamente non ne vedo. Se si fosse preso per tempo il toro per le corna probabilmente non saremmo a questo punto. Acqua passata.
Lo sconcerto, comunque, non finisce qui, alla presa d’atto cioè di un progetto (progetto?) fallito. Ci sarebbe bisogno di una energica autocritica o almeno che Berlusconi e la classe dirigente del Pdl enumerassero ed analizzassero gli errori commessi, individuassero i responsabili di certe candidature e di numerose cooptazioni nell’empireo del potere, ammettessero che la meritocrazia è stata esiliata e che i mediocri, i servi, i cortigiani e perfino le cocottes hanno avuto tanta di quell’influenza nel partito da determinarne il crollo.
È quantomeno indecente che ci si accorga soltanto adesso che un Fiorito qualunque abbia dato la stura a quella fogna intasata dalla quale sono venuti fuori i nauseanti miasmi di questi giorni: chi lo ha proposto, fatto eleggere, nominato capogruppo, presidente della Commissione Bilancio (addirittura!)? E non mi sembra molto serio che moralisti della venticinquesima ora chiedano alla signorina Minetti di lasciare il suo scranno al Consiglio regionale lombardo: ma chi ce l’ha messa, chi l’ha condotta per mano attraverso i corridoi della politica, chi ha preteso che venisse inserita nel listino bloccato del governatore togliendo il posto a qualche autorevole esponente della società civile non proprio in grado di accaparrarsi le preferenze, ma quanto utile a dare un apporto costruttivo alla politica regionale?
Ecco, due casi che in altri tempi, quando i partiti erano “veri”, cioè strumenti di attivazione del consenso e costruttori di democrazia, dei quali si sarebbe a lungo discusso a lungo negli organismi interni.
Ma oggi? Non farò torto a Bisanzio, che pure aveva una sua dignità, nel paragonare la nostra Italia al tardo impero d’Oriente morente. Sul Bosforo si discuteva del sesso degli angeli, come si ricorderà, mentre i barbari premevano dalle lande nord occidentali d’Europa: qui e ora si fa dell’altro e non sono le dispute più o meno filosofiche che si sovrappongono ai vizi di una corte infettata a tenere banco, ma il malaffare puro e semplice praticato in maniera rozza e volgare. E ciò è accaduto perché la politica si è dissolta nel nulla. È proprio questo a preoccupare dopo la certificazione, autorevolissima, della fine del Pdl. La mancanza di idee e di prospettive e di visione. Ma davvero Berlusconi pensa che inventando una lista civica, assemblando un po’ di gente che gli sta vicina, raggiungendo intese occasionali il centrodestra si rianimerebbe?
Se così è, la toppa si rivelerà peggiore del buco. Mi rendo conto che quando si è praticato a lungo la politica delle parole senza idee, non supportata cioè da una cultura che rispecchiasse riferimenti sociali ed individuali radicati, è difficile riprendere il bandolo della matassa. Ed è ancora più difficile, in vista delle imminenti elezioni, dare vita a soggetti attorno ai quali creare le condizioni per aggregare una comunità che si sente perduta. Se si fosse proceduto allo “spacchettamento” del Pdl un paio d’anni fa (come chi scrive si permise di proporre), quando le avvisaglie della scomposizione erano già evidenti, e si fosse proceduto alla costituzione di una federazione dei movimenti che componevano il partito, probabilmente non saremmo a questo punto. Stupisce che le solite nomenklature oggi si stiano dando da fare per pervenire ad un esito, come quello prospettato, terribilmente in ritardo e, per di più, avvertano l’esigenza di non presentare il simbolo del Pdl alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale del Lazio: una proposta estrema che certo farà franare il centrodestra con ricadute in tutto il Paese a meno che non si sostituisca con un altro soggetto, magari frutto di un rassemblement sia pure dell’ultima ora. Difficile, ma non impossibile. Resta, tuttavia, aperta la questione principale: dopo la disfatta, quale politica per un centrodestra che, chissà quando, dovrà comunque ritrovarsi?
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:37