Cosa vuole Renzi, e cosa serve alla destra

Se evitate di guardare il dito (le primarie del centrosinistra) e vi concentrate sulla Luna (la politica post-2013) potete capire con facilità dove vuole andare a parare Matteo Renzi. 

Il Pd e la conta interna sono solo un mezzo, non il fine, con cui il sindaco di Firenze punta ad una leadership molto più ampia, forse la prima autenticamente post-partisan del nostro paese. Sa in partenza di avere poche residue possibilità di vincere la sfida delle primarie. I sondaggi più autorevoli lo accreditano di un consenso interno tra il 25% e il 30% a seconda che la sfida sia secca contro Bersani o allargata ad altri contendenti (Vendola, Puppato, Civati). 

Numeri che ad oggi impediscono di pensare in grande e di espugnare il fortino rosso costruito dallo storico voto post-pci: sindacati, cooperative, pubblico impiego sono tutti serbatoi di consenso formidabili per il centrosinistra nazionale e sono tutti, per ragioni diverse, molto scettici sul Renzi-pensiero.  

Ma allora cosa spinge l’enfant prodige fiorentino ad intraprendere una sfida così ardita, costosa e certamente rischiosa per chi potrebbe avere davanti almeno altri otto anni da sindaco di una delle città più importanti della penisola? Non certo la guida del Pd, che rimane ricompensa esigua per lo sforzo titanico che attende chi si cimenta in questa corsa. 

A stuzzicare Matteo Renzi c’è dell’altro, che va oltre le tradizionali divisioni tra centrodestra e centrosinistra che hanno, dal 1994 ad oggi, spaccato il nostro paese. La lenta uscita di scena di Silvio Berlusconi, colpi di coda degli ultimi giorni inclusi, apre praterie politiche che nessuno è riuscito ad occupare. Non ce l’hanno fatta, per debolezze endemiche, i dirigenti ufficiali del Pdl. Non ci sono riusciti, per impossibilità ad essere credibili, i centristi del Terzo Polo. E non ci stanno riuscendo, peccando di elitarismo simil-bocconiano, i liberisti chic di Fermare il Declino. Ma qualcuno dovrà raccogliere l’eredità politica del Cavaliere, fatta di percentuali di consenso importanti e di una capacità fuori dagli schemi di parlare agli outsider della politica. 

Le ultime bordate di Renzi contro la cultura sessantottina o il suo rapporto conflittuale con i sindacati fiorentini stanno perfettamente all’interno di un canovaccio che punta a togliere ogni punto di riferimento agli elettori, ribaltare completamente (e continuamente) il piano del dibattito e oscillare tra richieste di rinnovamento essenzialmente interne e appelli al paese e agli elettori di centrodestra.  

Voteremo per Matteo Renzi? Certamente no. Renzi è un uomo di centrosinistra che prova a fare l’occhiolino al centrodestra ma che resta profondamente legato al blocco culturale e politico che gli ha garantito l’elezione a presidente della Provincia e a sindaco di Firenze. Il centrodestra ha bisogno di altro. E non è nemmeno difficile da trovare, perché quel che serve al blocco moderato è scritto a caratteri cubitali nel dna di questa maggioranza silenziosa: un leader anti-tasse, capace di disegnare lo stato come il male minore e di ridisegnarne i confini di conseguenza; un uomo di valore e di valori, orgoglioso della nostra tradizione nazionale. Qualcuno capace di declinare al futuro la parola “libertà”.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:37