Civiltà delle immagini e guerra di civiltà

Immersi come siamo nella globalizzazione dell’immagine tv, scambiamo le sue immagini con la realtà.Sbagliando. Sbagliando doppiamente quando le sue immagini mancano. Ma tant’è. A proposito di tv, se ci avete fatto caso, non c’è servizio di inviata/o o corrispondente tv che non apra affermando che «il film blasfemo contro il Profeta ha provocato nuove profeste nel mondo arabo...» o che «ulteriori, imponenti proteste contro le ambasciate statunitensi, in tutto l’Islam, contro il film targato Usa...».

Sempre o quasi sempre, dal Tg1 della pur brava Botteri al Tg5 passando per La7, il film contro Maometto è un dato di fatto, è persino scontato: il film c’è, è una prova ed è  dunque con l’impatto di questa pellicola sui miliardi di credenti islamici che bisogna fare i conti. Anche se poi si aggiunge che quel film o trailer è un pretesto. È stato tutto uno scusarsi, da Obama alla Clinton per «l’orribile film che offende la religione, qualsiasi religione», dando così per scontato, anche ai livelli della politica planetaria, che loro stessi hanno visto quel film traendone l’orrore per i contenuti blasfemi. Le cose stanno così? È altamente improbabile. Quasi nessuno ha visto quel film di cui esiste un trailer su youtube,peraltro cancellato in qualche area sensibile da Google. Se non c’è il film non c’è la prova, direte voi .E dunque, di cosa stiamo parlando? Perciò le proteste violente, con morti e feriti innocenti, sono, sarebbero ingiustificate. Ma i moti di piazza continuano, come prima più di prima anche per l’addirittura ovvia strumentalizzazione di Al Quaeda e di tutti i fondamentalisti,a cominciare dall’Iran.

Non dobbiamo stupirci più di tanto di quando sta avvenendo, anche se è la prima volta che un film sostanzialmente invisibile sta provocando qualcosa che assomiglia terribilmente a una prova di guerra mondiale, fra due civiltà. È chiaro che la misteriosa pellicola è un pretesto, ma anche questo non spiega fino in fondo quella che viene definita la “guerra delle immagini”. Che viene da lontano, da secoli e secoli di inganni (in guerra l’inganno è un must) che con la fotografia ha avuto una svolta importante seguita da quella ancor più impressionante impressa dal cinema per finire agli effetti devastanti della tv sul villaggio globale. Non bisogna stupirsi se si pensa che proprio nella Libia nella quale il povero ambasciatore americano è stato assassinato, insieme al altri, e praticamente in diretta tv, si è verificata, quasi a freddo e a seguire quelle tunisine ed egiziane, la rivolta contro Gheddafi.

Il fomite vero di quelle insurrezioni a Bengasi, a Derna e a Tripoli fu la televisione Al jazeera del potentissimo sceicco del Quatar, ai cui persuasori più o meno occulti si devono le immagini delle fosse comuni libiche assolutamente inventate (erano fosse di cimiteri normali) e relative notizie del tutto non verificate sulla fuga di questo o quel figlio del dittatore, di questa o quella strage di innocenti degna di una fiction. L’ironia della sorte vuole oggi che, in quella stessa Libia liberata - grazie soprattutto ad una tv “democratica” araba - da un dittatore peraltro già addomesticato, il fondamentalismo islamico faccia irruzione usando analoghi strumenti mediatici, con la differenza che le immagini non sono neppure manipolate ma addirittura immaginarie. C’è un salto per dir così qualitativo rispetto ad altre immagini che hanno giocato un ruolo di fondo in guerra. Per rimanere nel mondo assiduamente terremotato e terremotabile dell’Islam, basti pensare al cormorano del Golfo Persico ai tempi della guera di Bush senior contro il diabolico Saddam, accusato di aver fatto esplodere artatamente le condotte di petrolio con conseguente inquinamento di flora e fauna col povero cormorano impiastricciato, che in realtà era una vecchia foto d’archivio del Washington Post. E che dire delle scovolgenti immagini della rumena Timisoara, di corpi umani fatti a pezzi indicativi del regime del terrore di Ceausescu - di lì a poco fucilato senza processo insieme alla moglie - che invece erano riprese televisive di cadaveri a disposizione di ricerche scientifiche. Il salto compiuto con il film/trailer è decisamente un balzo vertiginoso, una danza macabra sul precipizio che coinvolge milioni di persone in assenza della prova, in mancanza del corpo del reato, cioè delle immagini. 

A questo ha condotto la cosiddetta civiltà dell’immagine. Alla guerra. Di civiltà.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:38