Ryan e lo spirito liberista degli anni '80

La serata di mercoledì della Convention nazionale dei Repubblicani è stata caratterizzata dalla “consacrazione” di Mitt Romney quale candidato presidente. La nomina, sinora esistente solo di fatto, ora è anche formale. Ma è stata caratterizzata soprattutto da un’altra consacrazione: quella del programma liberista. E la sua mente è Paul Ryan, aspirante vicepresidente.

Il Gop non è sempre stato così. Non lo era ai tempi di George W. Bush, tanto per ricordare tempi recentissimi: il suo “conservatorismo compassionevole” era infatti una proposta di welfare. Più leggero e decentrato rispetto a quello dei Democratici, era pur sempre uno stato sociale. Nella storia recente vi furono solo due grandi svolte liberiste nel programma del Gop: una fallita, nel 1964, con la candidatura di Barry Goldwater («L’estremismo in difesa della libertà non è un vizio») e l’altra, riuscita, con Ronald Reagan, nel 1980 («Lo Stato non è la soluzione ai problemi. Lo Stato è il problema»). Il Partito Repubblicano di questo 2012 tenta la sua terza grande svolta liberista. Una scommessa forte, in tempi di crisi economica galoppante e disoccupazione record, incoraggiata dalla nascita e crescita del movimento anti-tasse Tea Party e dalla vittoria dei suoi candidati alle elezioni di Medio Termine del 2010.

Paul Ryan, che ha entusiasmato la Convention con il suo discorso, è la miglior incarnazione di questa svolta. Il suo argomento è chiarissimo: «Con una chiara rottura dagli anni di Obama, e, francamente, dagli anni precedenti a questo presidente (quelli di George W. Bush e Bill Clinton, ndr), noi manterremo il livello di spesa pubblica federale al di sotto del 20% del Pil. È già abbastanza. La scelta è drastica: porre limiti alla crescita economica, o al peso dello Stato. Noi scegliamo di limitare il peso dello Stato». L’attacco si riassume in uno slogan molto forte: «Basta spendere soldi che non abbiamo!». Ed è motivato da un forte senso di urgenza: un debito pubblico di 16mila miliardi di dollari, cresciuto di 5mila miliardi in 4 anni: «Il presidente Obama ha aggiunto più debiti di qualsiasi altro presidente prima di lui, molti più di tutti i governi europei messi assieme».

Il discorso del candidato vicepresidente è un attacco a testa bassa allo statalismo di Obama, soprattutto alla sua riforma della sanità: «Nonostante tutte le tasse occulte o palesi che milioni di piccoli imprenditori dovranno pagare (per l’Obamacare, ndr), i pianificatori di Washington non avevano ancora soldi a sufficienza. Ne volevano di più. Avevano bisogno di centinaia di miliardi in più. E così li hanno sottratti al programma Medicare (assistenza medica per gli anziani, ndr). Settecentosedici miliardi di dollari drenati dal Medicare. Un dovere nei confronti dei nostri genitori e nonni è stato sacrificato sull’altare di nuove coperture assicurative che non abbiamo neppure chiesto». Paul Ryan non vuole sopprimere Medicare, ma privatizzarla, istituendo un sistema di buoni-sanità per gli “over 65”, da spendere nel libero mercato. 

Ma può essere accattivante il messaggio di Ryan, in un periodo di crisi economica? Si fonda sul sogno americano, quello dell’individuo pioniere e creatore, vero leitmotiv di tutta la Convention: «Dietro ad ogni piccola impresa, c’è una storia che merita di essere conosciuta. Tutti i negozi nelle vie e piazze delle nostre città e cittadine, ristoranti, lavanderie, palestre, barbieri,negozi di computer, non sorgono dal nulla. C’è tanta passione dietro a ciascuno di questi negozi. E se i loro proprietari dicono che hanno fatto tutto da soli, essi vogliono dirci che nessun altro ha lavorato sette giorni alla settimana al posto loro». E un editoriale di E. J. Dionne, sul Washington Post, paragona la ricetta di Ryan al programma di fitness del candidato vicepresidente. Un allenamento da Rocky. Vedremo a novembre quanti americani se la sentiranno ancora di allenarsi per vincere sul ring, con il vecchio spirito dei primi anni ’80.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:34