Fenomenologia di Nichi Vendola

Nichi Vendola non esiste. Può scrivere una poesia, fare il polo della speranza con Bersani, mandare un video messaggio ai suoi, arrivare a nuoto in Albania, ma continua a non esistere. Esistono il suo sorriso striminzito, le sue t-shirt scure sotto i completini della cresima (si veste come Berlusconi), il gigantesco orecchino avvinghiato al flaccido lobo del suo orecchio sinistro. Ma Vendola non esiste.

Che cos’è Vendola? L’amministratore a cui hanno arrestato mezza giunta senza che lui s’accorgesse di niente. Il rifondarolo che nel 1998 ha fatto cadere l’unico buon governo della seconda repubblica. Il titolare dell’ennesimo partito personale, vero cancro del sistema-paese. L’omosessuale che bacia gli anelli dei cardinali. Il politico che ogni volta che è in minoranza nel suo partito, esce e ne fonda un altro. Il retore dannunziano fulminato da Claudio Cerasa. L’Aleandro Aleandri della politica italiana.

Vendola non esiste e quando parla non dice mai qualcosa. E non la dice perché non ha nulla da dire, perché è lui stesso il nulla che, solo, gli interessa comunicare. Vendola adora sentirsi parlare, ama la sua voce “come una rana che ripete il suo nome a una pozzanghera che la sta a sentire”. Ascoltarlo è come giocare all’infinito a “unisci i puntini”. È ovvio che Vendola abbia scritto molti più libri di quanti ne ha letti, che non ha un’idea che sia una e sa solo criticare quelle degli altri, definendosi proprio in quest’opera di assidua negazione dell’altrui pensiero. Ve l’immaginate Vendola a un vertice europeo?

Fuori dalla continua contrapposizione che i suoi giri di parola ricercano, Vendola non esiste. Anche di recente, ha riacquistato le ribalte nazionali in contrapposizione a Di Pietro, che un’identità pestilenziale almeno ce l’ha. Vendola è quello buono, quello che non insulta Napolitano, quello che si pulisce le labbra prima di bere un bicchiere di rosso piacentino. Eppure Vendola la pensa esattamente come Di Pietro, dalla Tav a Pomigliano: avesse potuto, avrebbe votato contro il fiscal compact, contro la spendig review, contro la riforma delle pensioni, contro ogni rifinanziamento di qualsiasi missione internazionale. È Vendola che ha fatto cadere Prodi nel ‘98, non Di Pietro. Ma Vendola non lo dice o lo dice a bassa voce o lo dice con l’ennesima inutile metafora. E tutti abboccano. Perché tutti a sinistra hanno bisogno del suo irresponsabile nulla.

Se il fascismo è stato una radiografia della nazione, il vendolismo è una risonanza magnetica della sinistra italiana. Perché Vendola è una parte di noi e solo in noi esiste veramente. È una parte intima della sinistra post comunista, che in lui riassume ogni irrazionalismo, ogni propria pulsione antisistema, ogni residuo sessantottismo, ogni reazione conservatrice alla modernizzazione, ogni nostalgico tic all’ultima conquista del contemporaneo, l’eterna rassicurazione di non avere alcun nemico a sinistra. E così Vendola piace ai cattolici democratici del Pd, rinominati cattolici progressisti, perché così affine al loro cattocomunismo dossettiano.

Riuscissimo a bandirlo dalla nostra cattiva coscienza, riuscissimo a disintegrarlo dentro di noi, Vendola smetterebbe di esistere pure fuori di noi. Svanirebbe dal nostro presente, nelle nostre antiche memorie evaporerebbe. Come un ricordo stantio, ne resterebbe soltanto un odore molesto, come di naftalina. Un odore di chiuso pronto a dileguarsi al primo cambio di stagione.

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Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:35