Un film al di sotto di ogni sospetto

La riproposizione (qualche giorno fa su La7) del film di Elio Petri, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) consente una riflessione storico-politica su molto cinema degli anni ’70.

Perchè nella sua metafora sul capo della Mobile talmente sicuro della propria impunità da uccidere la propria amante, mettendo per di più in evidenza le prove della colpevolezza nella certezza di farla franca proprio in quanto rappresentante dello stato e del potere (e dunque al di sopra di ogni sospetto), è riscontrabile la matrice stessa della teoria del doppio stato, criminale/legale, e dunque delle stragi di stato, delle strategie della tensione, dell’impunità garantita ai simboli di pezzi di stato deviati, anche sessualmente oltre che criminalmente. 

È anche in virtù della riuscita affabulazione della iperbole metaforica - grazie ad un Gian Maria Volontè eccezionale, alle musiche di Ennio Morricone, alla sensualità della Florinda Bolkan e a un formidabile Santuccio - che il film apre la lunga galleria del cinema (e della cultura) contro, con una radicalità inusuale, un background nichilista, pasoliniano, furoreggiante, antagonista e inconciliabile con qualsiasi ipotesi minimamente riformista. 

È un film che all’indomani della strage di Piazza Fontana - ben presto divenuta strage di stato, e dell’anarchico Pinelli fin da subito “suicidato” in Questura da rappresentanti dello stato, cioè i poliziotti anzi quel poliziotto, il commissario Calabresi - contribuisce, non da solo beninteso, a creare un clima di sfiducia, di scherno, di irrimediabile sospetto in riferimento alle azioni più torbide, alle ipotesi più golpiste, alle evidenze più repressive. 

Non a caso, quasi in concomitanza col film, lo stesso Petri insieme a Pirro e a Volontè, a nome del comitato cineasti contro la repressione, girava un documentario sulla morte di Pinelli, partendo dal presupposto esplicito che era la Dc alla testa della repressione in atto, con la copertura di Saragat al Quirinale e con la complicità di organi di stampa e di istituzioni e concludendo, tra l’altro, che nessuna delle ipotesi affacciate  dalla Polizia sulla morte di Pinelli era assolutamente credibile: la morte di Pinelli non era stata accidentale. Ci pensò poi la pubblicistica progressista, i giornali di sinistra, Camilla Cederna, la firma degli ottocento e passa intellettuali contro Calabresi, come raccontò Michele Brambilla nel fondamentale libro Eskimo in redazione, a creare un clima infame che porterà al suo assassinio. 

Il film di Petri non identifica il suo capo della Mobile con il commissario della Questura milanese, che anni dopo la sua morte fu liberato dal sostituto Gerardo D’Ambrosio da ogni sospetto su Pinelli, la cui morte fu ufficialmente causata da «un malore attivo».

Ma è del tutto evidente che nell’immagine volutamente grottesca fattane da Volontè c’è un richiamo all’attualità e, soprattutto, un esplicito invito a paragonare quel simbolo di un potere dello stato tanto repressivo (contro i giovani contestatori) quanto arrogante e impunito nelle sue pulsioni criminali, al commissario Calabresi, contro il quale montò, in pochissimo tempo, una campagna di demonizzazione e di odio che lo accomunava,proprio in quanto simbolo della Polizia, allo stato stesso.

Ciò che racconta, e non tanto in trasparenza, l’opera di Elio Petri che è stata, tra l’altro, premiata con l’Oscar per il miglior film straniero, è qualcosa che travalica il suo valore estetico, le sue formali qualità, le sue ascendenze borgesiane in cui la costruzione filmica richiama echi realistici e impressionistici.

Sono, anzi, queste indubbie qualità che rendono il film ambiguamente accusatorio, sottilmente propagandistico e implacabilmente “contro”.

Non può  considerarsi un manifesto politico. È qualcosa di più e di diverso, col suo potente veleno immaginifico immesso nelle vene di intere generazioni i cui cattivi maestri, giovani, meno giovani, anziani, radical chic, ricchi e potenti, avevano fatto propria la teoria squisitamente marxista-leninista di “Lotta Continua” in base alla quale: «Quando essi (quelli di Lc) dicono: se è vero che i padroni sono dei ladri, è giusto andarsi a riprendere ciò che hanno rubato, lo diciamo con loro. Quando essi si impegnano a combattere ogni giorno con le armi in pugno contro lo stato fino alla liberazione dai padroni e dello sfruttamento, ci impegniamo con loro». 

Così (s)par(l)avano ottocento e passa intellettuali.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:31