Il ritorno al sistema proporzionale, sia pure corretto da uno sbarramento alto e da un premio di maggioranza per il partito maggiore, ha come unico vantaggio quello di evitare sconfitte cocenti ai partiti maggiori e di favorire, nelle condizioni particolari in cui si trova il paese, quella grande coalizione di governo formata da forze naturalmente contrapposte che viene teorizzata e propugnata dal leader dell’Udc, Pierferdinando Casini.
Sappiamo, dunque, a dispetto della ostentata certezza di vittoria del Pd di Pier Luigi Bersani e del retropensiero di Silvio Berlusconi di poter tentare l’ennesima rimonta vittoriosa, che la nuova legge elettorale servirà a dare vita ad una grande coalizione che avrà il compito di trasformare la “democrazia sospesa” del governo Monti in democrazia compiuta e debitamente legittimata dal corpo elettorale.
Il ritorno al proporzionale della Prima Repubblica, dunque, è un prezzo che si deve pagare all’emergenza. Ma, proprio perché frutto di una situazione contingente e particolare, è bene mettere in chiaro che il ritorno al passato deve essere necessariamente temporaneo. Perché, a dispetto di tutti i nostalgici dell’era democristiana in cui i governi di facevano e disfacevano all’impazzata sotto l’incalzare delle pretese dei partiti e delle correnti dei partiti stessi, il ritorno al proporzionale rischia di diventare la pietra tombale della democrazia italiana.
Il primo effetto di una legge proporzionale è una campagna elettorale condotta all’insegna non solo del tutti contro tutti ma, soprattutto, della concorrenzialità e dello scontro accentuato delle forze politiche affini.
Da ora al voto del prossimo aprile, quindi, la politica italiana si muoverà su due binari distinti. Da un lato quello governativo dove Pdl, Udc e Pd dovranno necessariamente collaborare e ridurre al massimo le tensioni e le divergenze per non far saltare l’esecutivo di un Mario Monti destinato a perpetuare se stesso nella nuova legislatura.
Dall’altro quello di una campagna elettorale condotta senza esclusione di colpi dai tre partiti che hanno concordato una legge elettorale con cui vengono obbligati alla ripresa della collaborazione di governo dopo una stagione di lacerazioni, insulti e scontri feroci.
Chi si lamentava della scarsa coesione delle coalizioni del maggioritario sarà dunque costretto a registrare la conflittualità endemica delle coalizioni del proporzionale. Come e peggio di quelle della Prima Repubblica, che perlomeno operavano in un quadro di certezze internazionali imposto dalla guerra fredda e della divisione dei blocchi e non nella bufera delle incertezze provocata dalla dissoluzione dell’Europa, dalla fine dell’egemonia americana e dal ritorno agli egoismi nazionali.
E non basta. Perché oltre alla conflittualità tra partiti condannati alla collaborazione governativa prima del voto, il ritorno al proporzionale renderà, come avveniva nella Prima Repubblica, lenta, faticosa e tormentata la fase della formazione del nuovo governo. Dopo essersi insultati per mesi e mesi Bersani, Casini ed Alfano e Berlusconi dovranno concordare la composizione dell’esecutivo destinato a guidare il paese nel pieno della crisi economica. Qualche furbacchione da strapazzo sogna il ritorno ai riti estenuanti del vecchio regime democristiano nella convinzione di poter strappare qualche privilegio personale. Ma ha sbagliato epoca. Perché i mercati non staranno a guardare i riti bizantini dell’Italia dei vecchi marpioni. E quando approfitteranno per speculare sul vuoto politico italiano dovuto al ritorno al passato, la democrazia nel nostro paese sarà fatalmente compromessa.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:09