Alla foto di Vasto hanno sbianchettato la faccia di Antonio Di Pietro. Come nella migliore tradizione di quella sinistra che non ha mai voluto modificare il suo antico dna marxista-leninista. D’altro canto sbianchettare Di Pietro dalla foto di Vasto fa parte di una operazione che è diretta proprio alla ricostruzione riveduta e corretta del vecchio Pdi. Pierluigi Bersani e Niki Vendola non stanno pettinando bambole , come direbbe Crozza, quando rompono con il leader dell’Italia dei Valori e stringono un patto che prelude al pieno rientro di Sel nel Pd nel caso la nuova legge elettorale preveda il premio di maggioranza per il maggior partito o la formazione di una coalizione tra Pd e Sel nell’eventualità che il premio sia assegnato non più al partito più votato ma alla coalizione. Stanno, molto più semplicemente , creando le basi per un nuovo Pci. Che, secondo la tradizione terzinternazionalista, non può e non deve avere nemici a sinistra (cioè Di Pietro). E che, secondo la successiva tradizione berlingueriana, deve puntare a realizzare un compromesso storico con i cattolici disposti ad accettare il ruolo egemonico di guida del governo e del paese del partito dai tanti nomi diversi nel corso degli anni ma da un’anima sola e sempre uguale a quella originaria.
Non è detto che i cattolici prescelti da Bersani per svolgere il ruolo che una volta era chiamato quello degli “utili idioti” siano effettivamente decisi a soggiacere alle pretese egemoniche del nuovo Pci. Pierferdinando Casini è troppo scaltro per accettare di fare da spalla del Pd prima delle elezioni in cambio di una vaga promessa di finire al Quirinale. Ciò che è invece assolutamente sicuro è che l’operazione tesa a distruggere o costringere alla resa il nemico a sinistra rappresentato da Di Pietro è scattata con grande virulenza. E punta ad assicurare all’Idv lo stesso trattamento distruttivo che venne riservato a suo tempo a Rifondazione Comunista di Franco Bertinotti. Lo schema dell’eliminazione del nemico a sinistra è quello di sempre. Prima si cerca di frazionare l’avversario convincendo qualche sostenitore del leader nemico a prendere le distanze dal proprio capo. Poi si punta decisamente a provocare fratture, lacerazioni, scissioni nel partito che osa fare la concorrenza da sinistra. Ed, infine, si isola il detestato leader antagonista facendogli il vuoto e costringendolo alla resa a discrezione.
Con la minaccia atomica rivolta ai suoi sostenitori più irriducibili di realizzare una riforma elettorale fatta apposta per non farli più entrare in Parlamento.
Lo schema è appena all’inizio. Ma la sua conclusione sembra già scontata. Di Pietro ha già dovuto registrare il voltafaccia di Donadi, lo scarto di Formisano, la presa di distanze di Pardi, l’addio di Lannutti. Si deve preparare a reggere l’urto della spallata che gli verrà portata da Luigi de Magistris. E rischia di rimanere solo ed indifeso molto prima della prossima scadenza elettorale.
Tutto deciso, allora? Assorbito Vendola, comperato Casini, eliminato Di Pietro ed isolato nel ghetto dell’inconsistenza politica Beppe Grillo, sarà dunque Bersani in aprile ad entrare da trionfatore a palazzo Chigi alla testa del rinato e vittorioso Pci?
L’ultima parola non spetta ai sondaggi ma agli italiani. E, quindi, si spera che la ragione prevalga sul nostalgismo. Nel frattempo, però, sarebbe bene che qualche parola la spendessero gli ex popolari, gli ulivisti, i liberali di sinistra del Pd. Sono proprio decisi a morire neo-comunisti?
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:09