Pare che il problema di Mario Monti sia di essere convinto della assoluta necessità di dover perpetuare la propria esperienza alla guida del governo tecnico anche nella prossima legislatura. Ma di non poterlo dire prima dell’autunno per non provocare ripercussioni nella maggioranza e la riapparizione del fantasma delle elezioni anticipate.
Pare anche che il problema dei partiti che sorreggono l’attuale esecutivo sia quello di essere perfettamente consapevoli che all’indomani del voto del prossimo aprile il presidente del consiglio Monti potrebbe succedere a se stesso, magari alla guida di una grande coalizione. Ma di non riuscire a trovare ancora una qualche intesa su una nuova legge elettorale in grado di garantire loro stessi ed i loro gruppi dirigenti nella prossima legislatura penalizzando, ovviamente, le forze che oggi si pongono all’opposizione.
Per chiudere il cerchio di questo disegno strategico che imporrebbe a Monti di restare al proprio posto per dare continuità all’azione di risanamento e rassicurare i mercati che le elezioni non provocheranno alcun cambio di rotta dell’Italia, manca ancora una legge elettorale in grado di dare stabilità ai partiti della futura grande coalizione.
Il sistema adatto sarebbe stato identificato nel modello tedesco con una serie di adattamenti di tipo spagnolo.
Non c’è ancora intesa, però, sui dettagli. In particolare sul modo con cui eleggere i futuri parlamentari. Con il collegio uninominale come vorrebbe il Pd di Pierluigi Bersani o con il ritorno alle preferenze richiesto da Pierferdinando Casini? A prima vista la questione sembra del tutto marginale.
Figuriamoci se gli esperti dei partiti non saranno capaci di trovare un compromesso tra uninominale e preferenze...
Tanto ottimismo, però, sembra del tutto prematuro. Perché il diavolo si nasconde spesso nei dettagli.
E nel nostro caso il diavolo che si è andato ad infilare nella richiesta del Pd di riportare nella legge elettorale i collegi uninominali del vecchio Mattarellum è talmente grande da mettere in discussione l’intero disegno strategico della successione di Monti a se stesso alla guida di un governo tecnico-politico di grande coalizione.
Questo diavolo è la ferma intenzione, niente affatto nascosta, di Pierluigi Bersani, di preparare un progetto alternativo alla perpetuazione del consociativismo tecnico di Monti capace di puntare ad una vittoria elettorale di un blocco progressista incentrato sul Pd e sulla sua candidatura a premier. Il ricorso all’uninominale, che consente al Pd di non stringere alleanze ufficiali con i partiti di sinistra incompatibili con l’Udc di Casini ma di usufruire del gioco della desistenza da parte di Sel ed Idv nei collegi strategici, è il meccanismo elettorale che dovrebbe favorire il progetto. Una volta conquistata la maggioranza parlamentare il leader del Pd non avrebbe alcuna difficoltà ad archiviare l’idea della grande coalizione ed a convincere lo stesso Monti a dare continuità al risanamento entrando a far parte (magari come ministro degli Esteri) di un governo Bersani formato dal blocco tra sinistra, casiniani e transfughi centristi del Pdl. La battaglia, allora, non è quella contro l’uninominale. E’ contro il progetto di Bersani che di fatto diventa antagonista ed alternativo rispetto a quello di Monti. Il Pdl è avvisato.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:10