Che cosa sta diventando questo nostro Paese? Ce lo chiediamo con l'inquietudine degli amanti traditi, dei bambini delusi, dei moribondi che disperano di guarire, dei povericristi abbandonati senza neppure l'illusione dell'accoglienza. Ecco, siamo vagabondi tra macerie che assistono impotenti alla decadenza. E non si dica che giochiamo a fare i reazionari con le continue emergenze che soffocano l'Italia.
Non c'è neppure più bisogno di sfogliare i giornali per renderci conto di vivere in una dimensione che definiremmo surreale se non ci coinvolgesse drammaticamente. Basta uscire di casa per avvertire una sensazione di soffocamento che, appunto, ci fa chiedere che cosa ne è di questo Paese. E vorremmo rivolgere la domanda a qualcuno, ma non sappiamo proprio a chi indirizzarci. E restiamo così, con questo interrogativo che si aggira impietoso nelle nostre menti, c'illividisce le anime, squassa le residue speranze cui pure ci aggrappiamo umanamente per dare un senso al tentativo di sopravvivere non indegnamente. Guardiamo alla quotidianità, piuttosto che alle grandi questioni della vita, e restiamo allibiti davanti al baratro aperto davanti a noi. Vi scorgiamo mali antichi e recenti, endemici; problemi irrisolti da tempo immemorabile; una fatica di vivere che produce angoscia. E non sono gli imponderabili e misteriosi accadimenti a gettarci nel tumultuoso gorgo dell'irrilevanza: quando il Destino ci assedia non si può fare altro che assecondarlo, accettarlo. Come un terremoto, per esempio.
Ma se il Destino non c'entra niente e quanto di più deprecabile si manifesta è dovuto all'imperizia, alla negligenza, alla colpa, all'ignavia di coloro che ci siamo scelti come governanti, allora diventa tribolante l'esistenza stessa in un Paese dai contorni morali, politici, culturali sempre più incerti come il nostro. È questo che esprimono le facce tristi che incrociamo per strada, il fastidio che accompagna uomini e donne che fanno la fila davanti agli sportelli di qualsiasi ufficio pubblico. Non c'è gioia nei negozi sempre più deserti, davanti le casse dei supermercati guardando carrelli molto più vuoti di un tempo. E se sei milioni di italiani non potranno permettersi neppure una gita fuoriporta quest'estate vuol dire che perfino l'allegria s'è allontanata dalle nostre terre torturate da individui che hanno sparso a piane mani odio, veleni e frastuoni fastidiosi rendendo impossibile la conciliazione nazionale, la pacificazione all'insegna del riconoscimento delle diversità. Che cosa ne è, dunque, di un Paese nel quale dei ministri-tecnici, professoroni indiscussi e pure un po' arroganti non hanno saputo fare i conti degli "esodati" e, di fatto, hanno negato l'avvenire a quasi 400mila pensionati che non sono pensionati, ma neppure lavoratori, e nemmeno disoccupati: sono entità inesistenti, semplicemente?
Che cosa dire di un Paese dove per pagare l'Imu, famigerata imposta della quale non si conosce la cifra finale perché nessuno si è premurato di fare i calcoli per tempo, bisogna scervellarsi come davanti ad un sudoku, con la differenza che non è un gioco: un errore può essere esiziale al malcapitato e ci si industria come si può, magari passando serate interminabili davanti ad un computer alla ricerca di lumi che non si accendono? Che cosa pensare di un Paese nel quale c'è bisogno di varare una legge per stabilire che i criminali abituali, gli stragisti, gli assassini mafiosi, gli stupratori, i pedofili non possano diventare parlamentari? E, tanto per non farsi mancare niente, il legislatore stabilisce pure una nuova fattispecie di reato, dagli indefiniti contorni, chiamato "traffico di influenze", vale dire la vecchia raccomandazione che potrebbe configurarsi come illecita se si ravvisa una qualche attività corruttiva, ma intanto qualunque pm può aprire un fascicolo se soltanto ne ha il sospetto. Che Paese è questo?
E va bene. Siamo tutti spiati in banca, intercettati al telefono e non solo, sospettati di aver chiesto un aiuto umanissimo in cambio di chissà che cosa, ma perché dobbiamo sopportare l'insipienza di qualcuno a cui per esempio viene in mente di aprire una discarica a poche centinaia di metri da un patrimonio dell'umanità, qual è Villa Adriana a Tivoli? Pericolo fortunatamente scongiurato soltanto a seguito di una mobilitazione mondiale anche da parte di chi non sa niente di uno dei più grandi imperatori romani, un genio politico, militare ed artistico quale fu Adriano. L'abbiamo scampata bella, ma non la scampiamo con lo scempio quotidiano con il quale abbiamo a che fare a Roma. La vedete com'è ridotta la Capitale del Paese che custodisce (si fa per dire) il settanta per cento dei beni culturali dell'umanità a rischio di estinzione? Se non è ancora abbastanza la sporcizia, le strade dissestate, i quartieri dormitorio, le schifezze immortalate sui muri delle strade consolari, l'assedio delle puttane e dei magnaccia e l'accattonaggio endemico fin sotto i palazzi del Potere, allora date un'occhiata al nuovo tratto di metropolitana inaugurato mercoledì scorso, dopo sette anni di lavori, ed il giorno dopo già in tilt, tra la rabbia e l'incredulità degli utenti alcuni dei quali hanno visto staccarsi pezzi di intonaco dai soffitti delle stazioni. È l'immagine di un Paese alla deriva. Di quel Paese che non riconosciamo più, che ci è estraneo, che sentiamo addirittura ostile. Vale ancora la pena incrociare le lame della polemica nel disperato tentativo di individuare le responsabilità per tutto ciò che accade? Macché: tutti colpevoli, nessun colpevole. Non ci lamentiamo se poi ci ridono dietro, ovunque. Guardiamo dentro di noi e raccontiamoci una volta per tutte la verità. Facciamolo da cittadini; lo facciano i politici che mentre si baloccano su impossibili riforme, non si accorgono che l'Italia va in frantumi. E tra qualche mese racconteranno agli elettori di possedere magiche pozioni per resuscitare dal coma una nazione la cui cura dovrebbe essere una rivoluzione morale e culturale. Ma chi può farla? I moribondi di Montecitorio, di Palazzo Madama o di Palazzo Chigi? Via, siamo seri.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:29