Le anime in pena e la fine della pacchia

È uscita la Lanzillotta. Sono usciti Tabacci, Versace, Dellai. Tra un po' usciranno anche Pisicchio e Bruno che lasceranno solo Francesco Rutelli al quale non rimarrà altro che spegnere la luce e chiudere definitivamente i battenti dell'Api. Un tacito sciogliete le file si sta verificando anche dentro Futuro e Libertà dove quelli che avevano seguito Gianfranco Fini nell'operazione di Palazzo che ha creato le condizioni per la defenestrazione berlusconiana non escono da Fli solo per ragioni obbiettive. Perché non possono uscire da un partito che non è mai nato. Ma, soprattutto perché, al momento non saprebbero dove andare. 

Un fenomeno analogo si sta verificando anche dentro il Pdl. L'intervista di domenica scorsa di Giorgio Straquadanio  al Corriere della Sera ha fotografato con precisione la frantumazione e le transumanze in corso dei vari gruppi e gruppetti di esponenti del partito del Cavaliere. Quelli che non sanno a che santo votarsi per tentare di riconquistare il posto in Parlamento avuto in passato non per merito ma solo per grazie e benevolenza di un capo oggi in semi pensione.

In condizioni simili si trova poi l'Udc di Pierferdinando Casini, che si è tempestivamente liberato dalle zavorre rappresentate dall'Api e da Fli ma che appare condannato alla condizione di partitino post-democristiano impossibilitato a diventare mai sia l'artefice di un Terzo Polo capace di rompere il bipolarismo, sia il pilastro su cui costruire un nuovo schieramento maggioritario dei moderati italiani.

Non parliamo, poi, della Lega, partito determinante in passato per le maggioranze ed i governi di centro destra, oggi in stato di liquidazione coatta dopo le note vicende e costretta dalle regole del gioco dell'oca della politica italiana a ritornare alla casella di partenza della marginalità degli anni '80.

La caratteristica di questa massa di anime in pena ed in cerca di nuova collocazione è di essere tutti personaggi in cerca d'autore. Ognuno di loro cerca l'autore in grado di scrivere il copione da recitare. Tutti sono alla ricerca disperata di un demiurgo, uno qualsiasi, capace di radunarli, federarli, organizzarli, indottrinarli, guidarli e garantire loro la conservazione di un qualche posto fisso nella casta privilegiata della politica. 

Sarà il Berlusconi che si è ritagliato il ruolo di allenatore ma che, come capitava alle squadre decadute ed in declino, potrebbe essere costretto a trasformarsi in allenatore-giocatore per salvare il salvabile? Oppure sarà il "sor Tentenna" Luca Cordero di Montezemolo che, però, facendo sapere di non voler imbarcare sulla propria imbarcazione i naufraghi della Seconda repubblica, rischia di essere il demiurgo di se stesso? Si dice che questa ricerca del demiurgo sia la conseguenza dell'eccesso di personalizzazione della politica avvenuta  nella cosiddetta era berlusconiana. Ma non è così. La vita politica è stata sempre personalizzata. Perché le idee camminano sulle gambe degli uomini, come dimostra la storia umana dall'età della pietra ad oggi. Il problema, semmai, è che negli ultimi anni si è confuso l'insegnamento di Mc Luhan sul "mezzo è il messaggio". E non si è capito che il mezzo senza messaggio porta alla lunga alla desertificazione delle idee e che chi non è portatore di una qualche idea non è in grado di camminare in una qualche direzione.

Invece che al demiurgo, allora, le anime in pena ed i personaggi in cerca di autore farebbero bene a trovare le idee grazie a cui camminare verso l'uscita dalla crisi.

Certo, per chi in questi anni si è abituato a non pensare e si è dedicato solo all'arte del cortigiano, l'impresa è disperata. Per questo sarebbe opportuno che chi non ha idee per il paese da proporre si concentri su una sola, piccola ma decisiva, idea personale. Che fare per campare quando sarà finita la pacchia!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:24