Mentre la crisi si fa ogni giorno più preoccupante, continuano a circolare molte "fantasiose" teorie su come affrontarla. Una di quelle più diffuse vorrebbe trasformare la Banca centrale europea nel tanto auspicato prestatore di ultima istanza, con cui venire incontro ai Paesi più indebitati dell'area euro. In sostanza, ciò starebbe a significare che la stessa Bce, così come faceva la Banca d'Italia sotto il regno della vecchia e deprezzata liretta, l'impegno ad aumentare la quantità di moneta circolante, acquistando ad un prezzo politico parte dei titoli di Stato di questi Paesi, alleggerendone il gravame finanziario e calmierando il mercato secondario, sul quale si basa il tanto bistrattato spread.
Ora, è ovvio che tra gli effetti collaterali di una simile scelta vi sarebbe una forte crescita dell'inflazione, causata dall'alterazione del rapporto tra massa monetaria e risorse reali. Ma i teorici di questa scorciatoia ritengono che sia preferibile fare i conti con un euro svalutato, piuttosto che continuare ad imporre ai partner maggiormente in difficoltà uno standard elevato, basato su un rigore di bilancio che appare "democraticamente" poco appetibile. In altri termini, l'idea - molto caldeggiata dai politici di professione di ogni colore - sarebbe quella di utilizzare la leva monetaria per ottenere due risultati.
Con il primo, esplicito, allentare la pressione della cosiddetta speculazione finanziaria sulla medesima area dell'euro; con il secondo, inconfessato, ottenere nuove risorse cartacee, per così dire, da distribuire, onde recuperare credito e consensi presso un elettorato sempre più disorientato. Tuttavia, malgrado l'affascinante semplicità della ricetta, questa opzione cozza in modo evidente con tutta una serie di considerazioni di buon senso che non occorre essere dei premi Nobel per realizzare. In primis, se consideriamo che i soldi e qualunque titolo di credito sono solo un parametro di scambio che incorpora la ricchezza reale, appare evidente che semplicemente aumentandone la quantità non si modifica il valore di scambio delle risorse reali prodotte da un sistema economico.
Però, ed è per questo che i Paesi più virtuosi si oppongono ad una politica monetaria allegrotta, allentare lo standard dell'euro a beneficio di chi ha indugiato per troppi anni nel fare la cicale. di cui la Grecia in questo momento costituisce l'esempio più eclatante, non significa altro che spalmare il relativo dissesto finanziario su tutti i cittadini che aderiscono alla moneta unica, mettendo in atto un gigantesco vaso comunicante valutario. Un analogo effetto si avrebbe con il varo dei tanto auspicati eurobond. Anche in quel caso il riebilibrio al ribasso del saggio d'interesse dei titoli oggi ritenuti meno affidabili, tra cui figurano anche quelli italiani, rappresenterebbe un costo reale per i partner che attualmente beneficiano della fiducia dei mercati. Ed è proprio da questo tipo di considerazioni che nasce la ferma opposizione della Merkel ad un ulteriore indebolimento dell'attuale rigore monetario (ricordo, a tale proposito, che il deciso aumento che si sta registrando sul tasso d'inflazione corrisponde in realtà proprio ad una serie di "elastici" interventi della Bce, i quali hanno aumentato la liquidità in favore delle banche dei Paesi più indebitati, col fine di abbassare la febbre dello spread).
Checchè ne dicano soprattutto i sinistri detrattori del rigore germanico, anche se la Spd riuscisse nel prossimo giro a detronizzare la cancelliera di ferro, non credo proprio, al pari dell'attuale miraggio francese di Hollande, che vi sarebbe un cambiamento di rotta nella politica monetaria, facendo pagare ai cittadini della locomotiva europea il costo diretto degli altrui sperperi. D'altro canto, se per cercare di uscire dalla crisi si dovessero minare in profondità i presupposti che hanno condotto l'Italia nell'euro, beneficiando di un lungo periodo di stabilità e di bassi tassi d'interesse, allora tanto varrebbe tornare ognuno alla moneta nazionale, utilizzando indiscriminatamente la leva valutaria per alleggerire le tensioni finanziarie che si determinano quando ci indebita in eccesso. Si tratterebbe solo di spiegare chiaramente al popolo le catastrofiche conseguenze di una tale scelta, tra cui l'immediata distruzione di enormi quote di risparmio. Nessuna politica di riequilibrio che non passi per un aumento dell'attività economica ha un costo zero, occorre ricordarlo sempre.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:25