La rifondazione del Pdl è un'esigenza che si è palesata improrogabile subito dopo l'esito delle elezioni amministrative, per quanto la sua crisi si sia manifestata molto tempo prima. Di fronte allo stato di disorientamento - ampiamente previsto nonostante le rassicurazioni di circostanza dei mesi scorsi ed i tentativi di esorcizzare le difficoltà del partito con tesseramenti e congressi non saprei se più inutili o dannosi - non credo ci sia altro da fare.
"Rifondazione" non è una parolaccia, né una provocazione. È una necessità che prima la si affronta e meglio è. Innanzitutto decidendo come posizionare il partito-cardine del centrodestra e, dunque, quale strategia delle alleanze perseguire. In secondo luogo, il Pdl dovrebbe individuare un percorso politico-culturale che lo porti a definire se stesso, e dunque a proporre la sua chiave di lettura degli avvenimenti in corso al proprio elettorato, in merito all'Europa, allo stato nazionale, alla sovranità dei popoli, alle tasse, alla tenuta morale e civile del nostro Paese. In terzo luogo evitando l'arroccamento della sua classe dirigente nella disperata difesa di seggi e seggiole poiché, se la cristallizzazione dovesse formalizzarsi secondo gli standard usciti dalle amministrative, non ci sarebbe posto più per nessuno nel nuovo Parlamento.
Secondo queste tre direttrici potrebbe articolarsi il "nuovo" Pdl che concretizzerebbe, ad un tempo, la sua ricostruzione come soggetto attivo e si porrebbe nei confronti del governo Monti criticamente ma non con preconcetta ostilità, rifiutando tutto ciò che inficia l'elementare vivibilità degli italiani in nome del rigore ed accettando le eventuali misure volte alla crescita e, naturalmente, all'improrogabile alleggerimento di un carico fiscale diventato insopportabile. Certo, la priorità è come e con chi dare vita ad un nuovo schieramento.
E qui il discorso si fa complicato. Se Casini è l'interlocutore privilegiato, si cerchi un'intesa sui contenuti, la sola valida a sancire un'alleanza politico-elettorale. Ma, insieme, si apra ad altre soggettività che potrebbero costituire il "valore marginale" di un centrodestra organico non egemonizzato da nessuno, neppure dal Pdl stesso, nella forma di una federazione di movimenti (com'era nelle intenzioni di Pinuccio Tatarella). Mi piacerebbe ritrovare in un contesto del genere, non certo per rinverdire antiche nostalgie, una visibile componente d'ispirazione di destra. Cos'è, infatti, uno schieramento di centrodestra se la destra è stata espunta dal vocabolario politico oltre che dalla rappresentanza parlamentare? La complessità della condizione nella quale versiamo autorizza a pensieri di lungo respiro. Ma con un progetto dalle ambizioni forti, un nuovo centrodestra potrebbe avere la possibilità di riguadagnare il terreno perduto. È però indispensabile agire con immediatezza e convinzione, cominciando, magari, col far capire a Casini che se davvero un "partito della nazione" è indispensabile, non può prescindere dall'accordarsi con forze che della nazione, dei suoi valori, della sua integrità e sovranità, hanno fatto il fulcro della loro azione politica. E che se butta alle ortiche l'evanescente Terzo Polo, un equivoco programmatico, deve liberarsi anche delle diffidenze per incontrare chi si batte per la rigenerazione dell'Italia nell'ambito di una Europa diversa che non è certo quella delle scadenti, ma arroganti, istituzioni della Ue ormai soggiogate dal delirio di onnipotenza tedesca. Poco male, infine, se, come si vocifera, il Pdl dovesse mutare ragione sociale insieme con il marchio di fabbrica.
Quel che conta sono i contenuti, le idee, i progetti, i programmi. E anche una franca discussione pubblica sulla ristrutturazione del sistema dei partiti. Non bastano le riunioni carbonare nelle segrete stanze, per ricostruire un mondo che oggi appare disfatto, privo di prospettive, annichilito dalla comprensibile sfiducia degli italiani. Se si guarda ai cittadini, ai loro drammi ed ai loro elementari bisogni è forse più facile risalire la china di quanto si pensi. I cosiddetti moderati, insomma, sappiano, che di fronte a loro c'è un mondo di incazzati: un'aporia della politica, indubbiamente, che ci fa comprendere, come quasi sempre è avvenuto nella storia moderna, che non sono le formule o le definizioni a salvare i popoli, ma l'intelligenza delle classi dirigenti che si applica ai loro bisogni.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:34