Con l'uninominale per battere la crisi

Anche se può sembrare una boutade, il tono del professor Luigi Zingales è quello dello scherzo. Docente negli Stati Uniti (la qual cosa, vedremo, ha una sua importanza), e commentatore di importanti giornali, Zingales traccia una sorta di equazione che a prima vista può lasciare perplessi: uno dei motivi del debito italiano, sostiene, è costituito dalla mediocrità della classe politica, a sua volta determinata dal meccanismo in vigore, quello delle nomine. Vero è che il debito pubblico risale a prima del vituperatissimo Porcellum, ma ora la situazione sembra davvero fuori controllo, se è vero che per farvi fronte sono stati chiamati tecnici e professori, i quali a loro volta hanno dovuto fare ricorso all'ulteriore e inedita figura del super-tecnico, che non si capisce cosa potrà e saprà fare, ma una cosa si può già dire: ci attendono ulteriori giorni di lacrime e sangue.

Per tornare a Zingales: un sistema elettorale in cui si viene eletti per meriti, e non per servilismo a un partito, è l'osservazione del professore, aiuterebbe a uscire dalla crisi. Detta così assomiglia a un qualcosa tra Lapalisse e Catalano e invece la questione merita, anche perché Zingales è ben lontano dal proporre l'ogni tanto evocato governo dei "capaci": medico alla Sanità, generale alla Difesa, avvocato o magistrato alla giustizia, ecc. No, Zingales pensa ad altro. Vediamo meglio: «Nel naufragio complessivo della Seconda Repubblica», annota, «c'è un'oasi felice che va studiata: l'elezione diretta dei sindaci». Un'oasi felice perché «il sistema ha garantito l'alternanza anche in città fortemente caratterizzate ideologicamente come Milano e Bologna. È stato in grado di attirare nell'amministrazione della cosa pubblica non politici di professione. Nel complesso ha migliorato la gestione della città».

Zingales la chiama "peggiocrazia": vizio, secondo molti, tipicamente italiano: una sorta di genetica maledizione che non lascia scampo. E' davvero così? «Con le regole del gioco giuste», sostiene Zingales, «la democrazia funziona anche in Italia». Le giuste regole del gioco, dunque. Quali?

«La prima è un sistema uninominale, sia esso a turno unico (con primarie) o a doppio turno. A differenza dell'attuale Porcellum, l'uninominale favorisce la meritocrazia in politica perché crea all'interno dei partiti una forte pressione a scegliere il candidato migliore.

Pochi voti in più possono fare la differenza, perché rischiare di perdere con un candidato mediocre? Questa selezione funziona ancora meglio con le primarie, che affidano la scelta del candidato agli elettori, invece che alle segreterie dei partiti».

Già questo sarebbe sufficiente; ma c'è anche altro: «Il sistema uninominale favorisce anche la stabilità di governo, perché invece di effettuare un sondaggio di opinione, affida un mandato a governare». 

Zingales poi osserva che se i sindaci non si sono trasformati in piccole baronie locali, è soprattutto grazie al limite al numero di mandati: «Questo limite assicura il necessario ricambio tra politica e società civile, prevenendo la formazione di una casta politica isolata dai problemi dei cittadini. 

Pertanto il vero quesito non è se una riforma elettorale può aiutarci ad uscire dalla crisi economica, ma se la nostra classe politica è in grado di approvare una riforma elettorale capace di farlo. La crisi economica ha già prodotto miracoli in campo politico. È troppo sperare in un altro?».

Poi, certo: qui entra in gioco l'elettore, che deve fare la sua parte. Per prima cosa votare (buffo, per esempio, assistere oggi alla generale lamentazione contro la legge sul rimborso elettorale ai partiti; quando con un referendum poteva essere abolito, quanti dei "lamentosi" d'oggi hanno preferito andarsene al mare?) e votare con criterio, cioé svincolati da pastoie clientelari e da logiche familistiche. 

Oggi è il giorno di un importante turno di elezioni amministrative. E i cittandini sono chiamati a votare per scegliere la guida di numerosi comuni. Genova, Palermo, Pistoia, Taranto e Verona, solo per citarne alcuni. Ne ricaveremo la conferma della bontà del sistema uninominale, e, sperabilmente, di una saggezza popolare che già altre volte si è manifestata. 

E chissà che finalmente non si apra quel dibattito e quel confronto che finora ci è stato negato (salvo lodevoli eccezioni alla Zingales), in luogo del bla-bla e del pio-pio che ci ha finora confuso e ammorbato. 

Scommettiamo che non se ne farà nulla?

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:11