È probabile che nessun esponente del Pdl abbia mai immaginato che il governo tecnico di Mario Monti fosse un "governo amico". Cioè un governo non espressione diretta del partito oggi guidato da Angelino Alfano ma comunque non ostile al alla formazione politica fondata e da sempre incentrata su Silvio Berlusconi e la sua leadership. Da adesso in poi, però, è bene che i dirigenti del Pdl incomincino a considerare quello di Mario Monti un "governo nemico".
Una sorta di riedizione di quel governo Dini del '95 che nacque con il beneplacito del ribaltato Cavaliere ma si trasformò progressivamente nell'esecutivo destinato a preparare le condizioni per l'avvento della sinistra al governo. Perché "nemico"? Non solo e non tanto perché il presidente del Consiglio ha aggredito con parole e toni isterici ed inaccettabili il segretario del Pdl Alfano per la richiesta di compensazione tra crediti e debiti dei cittadini nei confronti dello stato. E non solo e non tanto perchè Monti ha scaricato sul precedente governo la responsabilità dell'introduzione dell'Imu e dell'aumento delle tasse dimenticando volutamente che le cause della crisi, da cui dipende l'aumento della pressione fiscale, sono molto più antiche ed in gran parte esterne al nostro paese. Il governo è "nemico" semplicemente perché ha scelto di seguire la strada del governo Dini del '95, di farsi forza del sostegno del Quirinale, dei sindacati politicizzati e del Pd e di preparare le condizioni per il ritorno della sinistra alla guida del governo nella prossima legislatura.
Monti, in altri termini, ha spostato il baricentro del governo sul versante della vecchia opposizione. Lo ha fatto nella convinzione di poter tenere sotto scacco Berlusconi ed il Pdl per il conflitto d'interesse che condiziona e paralizza il Cavaliere. E nella prospettiva di sostituire nella prossima legislatura Giorgio Napolitano nel ruolo di Lord Protettore (ma sarebbe meglio dire di "padre padrone") di un nuovo centro sinistra fondato sull'asse Pd-Udc ed allargato fino al Sel di Vendola. La certezza che si tratta di un "governo nemico" significa che il Pdl debba necessariamente smarcarsi dall'attuale maggioranza e provocare l'apertura della crisi di governo con il rischio di elezioni anticipate in autunno? O, peggio ancora, con l'eventualità di favorire la formazione di un Monti-bis sostenuto non solo dal terzo Polo e dal Pd ma anche da quella parte dello stesso Pdl che segue le nostalgie consociative di Beppe Pisanu? E che cerca di riciclarsi comunque nella prossima area del potere? Niente affatto. Non c'è alcun bisogno di aprire la crisi.
C'è bisogno di fare politica. E di farla consentendo da un lato a Berlusconi di non farsi ricattare con la minaccia di distruggere le sue aziende continuando ad assicurare il sostegno al governo. Ma non rinunciando neppure per un istante a rivendicare il pieno diritto a portare avanti le richieste del popolo del centro destra di libertà da qualsiasi tipo di oppressione, in primo luogo da quella dell'oppressione fiscale che risulta essere l'unica arma usata da un governo incapace di uscire dalla tradizione di sostanziale socialismo reale che ha dominato il paese negli ultimi cinquant'anni.
C'è, in sostanza, la necessità di separare i ruoli del Cavaliere e del partito, di Berlusconi e di Alfano. Se Berlusconi è impastoiato non lo sono quanti nel Pdl non hanno pegni da pagare al conflitto d'interessi e sono fermamente convinti che la strada seguita dal "governo nemico" porti alla rovina il paese. Sia sulla pressione fiscale, sia sulla totale subordinazione allo strapotere tedesco nell'Unione europea. Il Pdl sia dunque ufficialmente partito "di governo". Ma i suoi dirigenti e le sue componenti più attive e consapevoli del rischio che il paese corre siano sempre più " di lotta". Tra un anno la resa dei conti. Su euro e tasse!
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:12