Il sospetto e la verità su Finmeccanica

Ma che ci fa un tizio che guadagna un paio di milioni di euro all'anno di sei Maserati prese come tangenti per appalti concessi fuori di ogni regola ad alcune società che lavoravano con l'azienda leader del proprio gruppo? Le usa come staffetta per i viaggi da Milano a Roma e per meglio nascondere la marachella le intesta tutte e sei al proprio autista? E perché mai lo stesso tizio, che si porta a casa il solito paio di milioni all'anno, deve chiedere di dare una ristrutturatina gratis alla propria villa al mare ad una società di costruzioni in cambio di qualche appalto da parte della azienda madre? Lo fa per semplice scempiaggine, vista l'aria giudiziaria che tira ormai da tempo nei confronti degli enti pubblici in generale e del suo in particolare, o perché ha fatto qualche scommessa su quale procura emetterà per prima un avviso di garanzia ai suoi danni?

Comunque la si voglia rigirare, questa faccenda di Finmeccanica e delle accuse dell'ex dirigente Lorenzo Borgogni all'attuale amministratore delegato Giuseppe Orsi non convince affatto. È vero, come ha rilevato giustamente il ministro Corrado Passera, che non può essere un avviso di garanzia a poter destabilizzare una azienda delle dimensioni e del valore di Finmeccanica. Ed è altrettanto vero che di fronte ad accuse mosse da qualcunom i pubblici ministeri - di Napoli o di qualsiasi altra Procura - non possono far altro che aprire le indagini ed emettere gli avvisi di garanzia. 

I loro sono atti dovuti. Che magari non dovrebbero essere accompagnati dagli atti voluti (non si sa mai da chi) della pubblicazione a mezzo grandi giornali di intercettazioni riservate, interrogatori sbobinati ed atti d'indagine che sembrano fatti apposta per alimentare, sostenere, giustificare e pompare in varia misura le ipotesi accusatorie.

Ma, a dispetto di queste considerazioni oggettive, non si può non rilevare come la faccenda di Finmeccanica non solo appaia decisamente inverosimile ma puzzi addirittura di bruciato. Sia perché un tizio come Orsi, che è stato per anni alla guida di una delle società di punta dell'azienda pubblica con ottimi risultati, non può essere considerato uno sprovveduto che si lascia cogliere con le mani sulla marmellata o con il sedere sul sedile della Maserati. Ma perché quello che si sta svolgendo sugli schermi dei giornali e delle procure italiane sembra essere un film già visto più volte. Un film che inizia con un po' di gogna mediatico-giudiziaria ai danni di questo o quel dirigente (da Guarguaglini ad Orsi senza soluzione di continuità) e che finisce, dopo una serie di sequenze contrassegnate da appelli corali alla pulizia, alla trasparenza, alla lotta contro la corruzione ed a favore della legalità, con lo spezzatino dell'ente pubblico e la vendita dei vari pezzi (ma sarebbe più opportuno parlare di svendita) al peggiore offerente.

Il sospetto, dicevano i vecchi gesuiti, «è l'anticamera della verità». Anche perché, aggiungeva Giulio Andreotti, «a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca!». Bene, in questa faccenda il sospetto è sempre più forte. Ed i pensieri maligni, quelli dei peccati che non sono veniali ma che si spera non possano essere mortali, si moltiplicano ad ogni paginata di intercettazioni e di resoconti d'interrogatorio riservati. Nessuno, ovviamente, ipotizza complotti di sorta. Magari elaborati da quei concorrenti internazionali di Finmeccanica, che sarebbero ben felici di impossessarsi a prezzi stracciati di una delle principali aziende italiane sfruttando il dovere della magistratura di perseguire eventuali reati e ed i diritto dei grandi giornali di vendere più copie con il gossip e la gogna giudiziaria. 

Escludiamo pure i complotti! Ma, già che ci siamo, escludiamo anche lo spezzatino! Che, se mai si dovesse verificare, metterebbe a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro e darebbe il colpo finale all'economia nazionale.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:23