Il problema non è che fine farà il Trota, la Badante, il Cerchio Magico e lo stesso Umberto Bossi. Il problema è che fine farà la Lega e dove andranno a finire i voti, gli interessi, le passioni e le pulsioni di quei milioni di cittadini che negli ultimi venti anni hanno creduto nel Carroccio.
Chi pensa che i partiti tradizionali possano, sia pure progressivamente, riassorbire il fenomeno leghista, compie un grossolano errore. Perché è possibile che in occasione delle prossime elezioni amministrative una parte dell'elettorato del Carroccio possa essere recuperato dal Pdl, dal Pd, dall'Idv o dai "grillini" e dalle liste civiche. Ma è da escludere che nel medio e nel lungo periodo la massa complessiva dell'elettorato della Lega possa venire attratta da forze e da movimenti che non hanno alcuna possibilità di interpretare e rappresentare l'istanza di fondo su cui Umberto Bossi ha costruito il suo movimento.
Il Carroccio è l'espressione della protesta dei produttori contro lo stato burocratico centralista ed assistenziale, costruito nel secondo dopoguerra e che incomincia ad entrare in crisi alla fine degli anni Ottanta. Il lievito di questa protesta è sicuramente il pregiudizio antimeridionale ed antiromano che Bossi usa con grande spregiudicatezza e maestria. Ma la farina di base rimane sempre la richiesta istintiva di uno stato meno pesante e meno invasivo nei confronti del cittadino. Questa richiesta non ha ancora trovato una risposta negli ultimi venti anni.
L'asse del Nord Berlusconi-Bossi aveva alimentato la speranza di
ottenere una qualche riduzione della pressione di un apparato
statale elefantiaco e sprecone. Ma gli errori di un Cavaliere
paralizzato dal continuismo dei cortigiani e di un Senatùr convinto
che il modo migliore di radicare la Lega fosse quello di
riprodurre a livello locale il centralismo burocratico si
sono intrecciati alla grande crisi economica. Ed hanno bruciato la
speranza di liberazione dallo stato oppressore e predatore.
Al momento non ci sono forze politiche in grado di impugnare
credibilmente la bandiera, non dell'antistato o dell'antipolitica,
ma della lotta contro l'oppressione e la rapina delle degenerazioni
dello stato e della politica. Le forze antisistema dell'ultra
sinistra perseguono, magari inconsapevolmente, modelli burocratici
ed oppressioni addirittura peggiori di quello che si vorrebbe
smantellare. Pd e Terzo Polo rappresentano l'emblema negativo della
conservazione (se non della restaurazione) del vecchio sistema. Ed
il Pdl, che pure nel dna avrebbe una forte ispirazione di libertà,
non riesce ancora a capire che il berlusconismo o è una rivoluzione
liberale o non è altro che la copertura contingente di semplici
interessi di potere.
Per sopravvivere la Lega dovrebbe tornare ad essere la
rappresentante della richiesta di liberazione dalle degenerazioni
delle stato burocratico-assistenziale. Ma per farlo non deve solo
rigenerare un gruppo dirigente ripulendolo e liberandolo da tutte
le scorie del familismo bossiano. Dovrebbe, soprattutto, ridefinire
completamente la propria identità. Rinunciando a quella facciata
localistica che negli anni passati è stata il lievito del
movimento, ma che oggi servirebbe solo a relegarla a fenomeno
folkoristico marginale.
E puntando a riempire quel vuoto esistente a livello nazionale
provocato dall'assenza di un partito che abbia l'identità netta e
dichiarata di forza di liberazione dallo stato oppressivo e
predatore. Ma è ipotizzabile una Lega capace di nazionalizzarsi in
nome dei valori di libertà? Il dubbio è legittimo. Anche se
incomincia a crescere una nuova speranza. Quella che all'asse del
Nord berlusconiano e bossiano possa seguire un nuovo asse, capace
di rappresentare la richiesta di un nuovo modello di stato fondato
non sull'oppressione ma sulla libertà!
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:28