Ma perché Diego della Valle è uscito dal patto di sindacato della Rcs, il gruppo che pubblica il Corriere della Sera? Perché ha parlato di comportamento «maldestro e pretestuoso» di alcuni componenti dell'accordo a proposito dell'accordo sui nuovi componenti del Consiglio di Amministrazione di Rcs stipulato prima della riunione dei soci del patto di sindacato dai due maggiori azionisti Bazoli ed Elkann, rispettivamente presidente di Intesa San paolo e di Fiat? Perché lo stesso Della Valle ha aggiunto che il Corriere della Sera «deve rimane indipendente e rispondere solo ai lettori e non a qualche azionista?».
Solo i diretti interessati, cioè Della Valle, Bazoli, Elkann e gli altri componenti del patto di sindacato di Rcs possono dare una risposta certa a queste domande. È difficile entrare nei meandri più o meno oscuri della finanza italiana per chi non ne fa parte e capire il senso reale delle vicende che si svolgono al suo interno.
In tanta incertezza, però, un elemento di certezza esiste. E non è rappresentato dal fatto che gli industriali ed i banchieri italiani di punta litigano per chi può e deve comandare sul maggior gruppo editoriale nazionale. È, al contrario, costituito dal fatto che mentre i proprietari del Corriere della Sera si contendono il bastone di comando del gruppo editoriale, il giornale dei banchieri e degli industriali rivendica un ruolo di guida politica, economica e morale del paese insistendo nella campagna contro i partiti, indicando al governo la rotta da seguire sulle riforme (da quella sulle pensioni a quella sul mercato del lavoro) e, soprattutto, ergendosi a giudice supremo della pubblica moralità nazionale riempendo le sue pagine delle prediche più o meno ispirate di chi ha scelto di sbarcare lucrosamente il lunario svolgendo l'antica professione di Savonarola.
Naturalmente nessuno contesta il diritto ed il dovere di un libero giornale di criticare i costi esorbitanti della politica, di suggerire al governo le scelte più opportune per uscire dalla crisi e di ricordare al paese che senza una sana etica pubblica e privata non sarà mai in grado di invertire la parabola declinante in cui è caduto. moralità e virtù siano, attraverso i propri dipendenti, quegli azionisti di maggioranza che a detta di Della Valle non sembrano avere molto a cuore l'indipendenza del giornale ma solo la difesa dei propri personali interessi.
La questione, nel paese dove tutti i grandi media sono di
proprietà o sotto il controllo di banchieri, finanzieri ed
imprenditori di massimo livello, è tabù. Ma è compatibile con la
società aperta e con la democrazia liberale che il ruolo di
massimi tutori della pubblica virtù e del buon governo sia coperto
da quei banchieri, finanzieri ed imprenditori che, a causa dei loro
esorbitanti interessi da difendere, non offrono particolari
garanzie di uso corretto della libertà di stampa? Come eliminare il
sospetto che il Corriere della Sera non esalti la riforma del
lavoro targata Fornero solo per favorire la migliore applicazione
della cura-Marchionne nella Fiat?
Chi può cancellare la sensazione che dietro la scarsa attenzione
del giornale di via Solferino per la rinuncia del governo ad
occuparsi dei privilegi eccessivi degli istituti bancari ci sia lo
rampino dell'azionista-banchiere Bazoli? E come escludere la
preoccupazione che dietro la campagna dell'anti-politica ci sia
solo la volontà non di migliorare la classe politica ma di piegarla
agli interessi dei veri e soli "padroni del vapore"? Insomma, il
gesto di Della Valle equivale alla denuncia del bambino che «il Re
è nudo». Cioè che i garanti della libertà di stampa e della
democrazia italiana sono Elkann e di Bazoli. Il che non è bello ma
molto istruttivo.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:10