Lo scontro in atto sulla riforma del lavoro proposta dal governo
Monti dimostra in maniera incontrovertibile l'incredibile paradosso
paralizzante in cui vive il paese da alcuni decenni a questa parte
e da cui non accenna in alcun modo ad uscire. Il paradosso è
semplice. La sinistra domina culturalmente la scena politica
italiana.
Come se l'epoca dell'egemonia non fosse mai finita. Non è forse
vero che la partita sull'art.18 viene sempre giocata da una parte
dalla sinistra riformista e dall'altra dalla sinistra massimalista?
Che lo scontro in atto è tra il Presidente della Repubblica, il
"migliorista " Giorgio Napolitano, che è il vero "padre-padrone"
del governo e della riforma del lavoro e gli ortodossi
post-operaisti Pierluigi Bersani e Massimo D'Alema, che continuano
a guidare il Pd all'insegna dell'antica regola
terzinternazionalista del "nessun nemico a sinistra", tantomeno la
Cgil e la Fiom? Questa prima parte del paradosso è
inquietante.
Perché dimostra che nel momento in cui si affronta una questione,
come quella della riforma del lavoro che tutti gli altri paesi
europei hanno risolto ed archiviato da tempo, l'orologio italiano
torna indietro di quasi quarant'anni. La partita diventa solo
quella che si svolge all'interno del recinto chiuso della sinistra
post-comunista.
L'economia sociale di mercato ed il liberalismo in salsa renana di
Mario Monti diventano il semplice strumento. Quello con cui il
riformista Napolitano cerca di portare avanti le sue convinzioni e
di combattere la battaglia contro le resistenze dei massimalisti e
dei marxisti ortodossi di una sinistra politica e sociale che si
comporta come se il Pci non fosse mai morto e continuasse ad
esercitare la propria egemonia assoluta sull'intero paese.
Il resto delle forze politiche è tagliato fuori da questo scontro.
Come se la faccenda non lo dovesse minimamente riguardare in quanto
di competenza esclusiva dei post-comunisti. La seconda parte del
paradosso è ancora più inquietante della prima. Perché indica in
maniera fin troppo evidente che la sinistra ancora egemone è in
grado di paralizzare il paese ma non può e non sa governarlo.
Perché lo condanna a discussioni antiche tra posizioni ormai
vetuste che impediscono alla società italiana di uscire una volta
per tutte dal secolo passato ed entrare finalmente nel terzo
millennio, come tutte le società più moderne ed avanzate. Il
paradosso, dunque, è che fino a quando la sinistra rimane egemone
il paese è condannato a rimanere arretrato e fermo al più lontano
passato.
Questo paradosso può essere spiegato anche visivamente. La
fotografia metaforica del tema dominante di questi giorni presenta
da un lato l'immagine di un ultraottantenne come Giorgio Napolitano
che si comporta come se il suo interlocutore fosse ancora Ingrao ed
un gruppo dirigente del Pd che è sempre lo stesso da trent'anni a
questa parte e che trova assolutamente naturale contrapporsi al
vegliardo del Quirinale interpretando il ruolo che fu di
Ingrao.
Si può uscire da questo circolo vizioso e paradossale che minaccia
di condannare l'Italia a rivivere stagioni che risalgono agli anni
verdi dei vecchi post-comunisti di oggi? L'unica strada è quella
che porta a liberarsi del paradosso, della sinistra egemone e delle
sue lacerazioni paralizzanti.
Le elezioni del 2013 possono essere l'occasione!
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:15