Un partito senza idee

Pare che Gianfranco Fini non abbia ancora deciso come chiamare la nuova formazione politica che intende fondare subito dopo le elezioni amministrativa ed in vista del voto politico del 2013. A suo dire non ha ancora scelto tra Polo della Nazione, Patto Repubblicano, Unione Civica Nazionale. Anche se il nome che più lo convince sarebbe Patriottismo Repubblicano.
L'incertezza del Presidente della Camera è comprensibile. Ed anche le perplessità a puntare apertamente su quel "Patriottismo repubblicano" che pure sarebbe il preferito. Tanta comprensione non nasce dalla considerazione che non deve essere tanto facile puntare su "Patriottismo repubblicano" da parte di un personaggio che da ragazzo cantava "il 25 aprile, festa repubblicana, è nata una repubblica figlia di una puttana".
Il diritto e la facoltà di cambiare idea vanno riconosciute anche a Fini. Ed anche se il leader di Futuro e Libertà ha approfittato a piene mani di questo diritto e di questa facoltà, nessuno si sogna di attribuire l'incertezza finiana a qualche rimorso del passato. Da professionista della politica Fini non ha rimorsi o ripensamenti di sorta.
Non guarda al passato ma punta solo verso il futuro. Il guaio, però, è che la sua incertezza sul nome da dare al nuovo movimento nasce proprio da una certa confusione su quali dovrebbero essere le idee-guida per costruire il futuro. Alla propria nascita dopo la lacerazione con il Pdl, Futuro e Libertà si è autodefinita la destra responsabile, presentabile e liberale che si contrapponeva alla destra impresentabile e personalistica di Silvio Berlusconi.
Entrato nel Terzo Polo Fini e gli esponenti di Futuro e Libertà hanno progressivamente abbandonato questa collocazione e definizione che presupponevano la conferma del bipolarismo. E, con la conversione non del tutto dichiarata al proporzionalismo, hanno abbandonato la pretesa di rappresentare la destra migliore e presentabile per autodefinirsi, come ha fatto Italo Bocchino con un linguaggio paradossalmente post-missino, "centrali ma non centristi".
Ha detto Fini che i tratti caratteristici del nuovo movimento saranno l'europeismo, la lotta alla mafia, il diritto di cittadinanza e la democrazia che decide. Ed ha aggiunto che nel nuovo partito confluiranno esponenti della cultura liberale, nazionale, socialista" oltre a quella parte della società civile rappresentata dal volontariato e dal mondo delle professioni.
Ma quale potrà essere il collante politico e culturale di componenti così eterogenee (i liberali vicini a Fini sono quelli più antisocialisti ed i socialisti quelli meno liberali, i nazionali quelli più ferocemente antieuropeisti e gli europeisti quelli meno nazionali per non parlare del giustizialismo forsennato dei post-missini, del laicismo degli anticattolici e del clericalismo dei filo-democristiani)? L'impressione è che il vero ed unico collante a cui Fini intende fare riferimento sia il suono delle proprie parole.
Ma basta essere un bravo oratore che nel corso della propria lunga vita politica ha sempre saputo dire in maniera professionale tutto ed il contrario di tutto per dare vita ad una formazione politica in grado di puntare al futuro? Forse un tempo poteva bastare. Oggi non più. La crisi impone di rottamare quelli che si definiscono nuovi perché portatori di un programma senza partito ed invece sono solo gli esponenti di un partito senza programma.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:17