mercoledì 21 marzo 2012
Pare che Gianfranco Fini non abbia ancora deciso come chiamare
la nuova formazione politica che intende fondare subito dopo le
elezioni amministrativa ed in vista del voto politico del 2013. A
suo dire non ha ancora scelto tra Polo della Nazione, Patto
Repubblicano, Unione Civica Nazionale. Anche se il nome che più lo
convince sarebbe Patriottismo Repubblicano.
L'incertezza del Presidente della Camera è comprensibile. Ed anche
le perplessità a puntare apertamente su quel "Patriottismo
repubblicano" che pure sarebbe il preferito. Tanta comprensione non
nasce dalla considerazione che non deve essere tanto facile puntare
su "Patriottismo repubblicano" da parte di un personaggio che da
ragazzo cantava "il 25 aprile, festa repubblicana, è nata una
repubblica figlia di una puttana".
Il diritto e la facoltà di cambiare idea vanno riconosciute anche
a Fini. Ed anche se il leader di Futuro e Libertà ha approfittato a
piene mani di questo diritto e di questa facoltà, nessuno si sogna
di attribuire l'incertezza finiana a qualche rimorso del passato.
Da professionista della politica Fini non ha rimorsi o ripensamenti
di sorta.
Non guarda al passato ma punta solo verso il futuro. Il guaio,
però, è che la sua incertezza sul nome da dare al nuovo movimento
nasce proprio da una certa confusione su quali dovrebbero essere le
idee-guida per costruire il futuro. Alla propria nascita dopo la
lacerazione con il Pdl, Futuro e Libertà si è autodefinita la
destra responsabile, presentabile e liberale che si contrapponeva
alla destra impresentabile e personalistica di Silvio
Berlusconi.
Entrato nel Terzo Polo Fini e gli esponenti di Futuro e Libertà
hanno progressivamente abbandonato questa collocazione e
definizione che presupponevano la conferma del bipolarismo. E, con
la conversione non del tutto dichiarata al proporzionalismo, hanno
abbandonato la pretesa di rappresentare la destra migliore e
presentabile per autodefinirsi, come ha fatto Italo Bocchino con un
linguaggio paradossalmente post-missino, "centrali ma non
centristi".
Ha detto Fini che i tratti caratteristici del nuovo movimento
saranno l'europeismo, la lotta alla mafia, il diritto di
cittadinanza e la democrazia che decide. Ed ha aggiunto che nel
nuovo partito confluiranno esponenti della cultura liberale,
nazionale, socialista" oltre a quella parte della società civile
rappresentata dal volontariato e dal mondo delle professioni.
Ma quale potrà essere il collante politico e culturale di
componenti così eterogenee (i liberali vicini a Fini sono quelli
più antisocialisti ed i socialisti quelli meno liberali, i
nazionali quelli più ferocemente antieuropeisti e gli europeisti
quelli meno nazionali per non parlare del giustizialismo forsennato
dei post-missini, del laicismo degli anticattolici e del
clericalismo dei filo-democristiani)? L'impressione è che il vero
ed unico collante a cui Fini intende fare riferimento sia il suono
delle proprie parole.
Ma basta essere un bravo oratore che nel corso della propria lunga
vita politica ha sempre saputo dire in maniera professionale tutto
ed il contrario di tutto per dare vita ad una formazione politica
in grado di puntare al futuro? Forse un tempo poteva bastare. Oggi
non più. La crisi impone di rottamare quelli che si definiscono
nuovi perché portatori di un programma senza partito ed invece sono
solo gli esponenti di un partito senza programma.
di Arturo Diaconale