
“Una crisi drammatica ma necessaria”. Con queste parole Angela Merkel ha voluto recentemente sintetizzare - nello straordinario scenario del Centro Culturale della Fondazione Niarchos ad Atene - quanto accaduto in Grecia nel corso degli ultimi quindici anni. Una sequenza di eventi di cui si può apprezzare l’intensità solo collocandola in una prospettiva storica.
Fra il 2007 ed il 2013 - il momento più difficile dell’ultimo quindicennio per la Grecia - il prodotto interno lordo pro capite greco si è ridotto del 26%. Un po’ meno della metà di quanto accaduto fra il 1939 e il 1945, in occasione della Seconda Guerra Mondiale, ma ben tre volte quel che si era registrato fra il 1929 e il 1931, al momento della Grande Depressione. Più o meno quello che la Grecia aveva sperimentato fra il 1915 e il 1917, durante la fase più acuta della Grande Guerra.
Che si sia trattato, dunque, di una crisi drammatica è impossibile negarlo. Ma fu una crisi necessaria? Anche qui, è francamente difficile contraddire la già Cancelliera tedesca. Al momento della crisi finanziaria del 2008 e della crisi dei debiti sovrani del 2011, gli squilibri macroeconomici dell’economia greca - palesi o occulti che fossero - erano conclamati e richiedevano processi di aggiustamento tanto più dolorosi quanto più li si era ritardati nel tempo. Si trattava - è importante non nasconderlo - di squilibri che mettevano a repentaglio anche importanti (e incaute) realtà bancarie europee (e tedesche in particolare) e, di conseguenza, il tema della distribuzione degli oneri dell’aggiustamento era tutt’altro che secondario. Ma che l’aggiustamento fosse necessario c’erano pochi dubbi.
Il punto è allora, forse, quello sollevato dall’ex primo ministro greco George Papandreou cui va il merito di aver fatto chiarezza sul reale stato dei conti pubblici greci del tempo: “l’Europa non comprese la natura profonda e sistemica della crisi, convinta che il consolidamento fiscale sarebbe bastato a ristabilire la fiducia”.
Ma c’è nulla di più profondo e sistemico dell’atteggiamento nei confronti della finanza pubblica di un paese che dalla sua indipendenza e prima del 2008 aveva fatto default ben sette volte nella sua storia? C’è nulla di più profondo e sistemico del ricorso a ricorrenti ristrutturazioni del debito, della riluttanza a comprendere che non c’è autonomia senza rispetto della parola data, e non c’è indipendenza senza finanze pubbliche in ordine?
Gli applausi con cui il pubblico - greco, si noti - ha voluto accompagnare le parole di Angela Merkel sono forse il sintomo più importante di quanto la Grecia abbia compreso che la sfida che aveva davanti era, certo, economica e finanziaria ma anche, se non soprattutto, un momento di costruzione della propria identità.
(*) Consigliere d’amministrazione dell’Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 07 luglio 2025 alle ore 11:08